Elevazione e catarsi nella “Tempesta” di Alessandro Serra
Prima nazionale per “La Tempesta” di William Shakespeare con la traduzione, l’adattamento e la regia di Alessandro Serra alle Fonderie Limone di Moncalieri dal 15 marzo al 3 aprile. Ammetto di essere uscita dal teatro un po’ frastornata dopo la rappresentazione. Intendiamoci, non in senso negativo. Sin dai minuti introduttivi lo spettacolo mi ha travolta con enorme intensità e mi ha fatta immergere nella narrazione. Un inizio fortissimo. Vedo il sipario che sale, il buio e una luce che si accende piano, del fumo che scende dall’alto, che viene illuminato e che mi ricorda una leggera pioggerellina. Un palcoscenico coperto da un telo stropicciato e infinito. Sotto si intravede una figura: sembra un corpo morto, sembrano spoglie umane. Improvvisamente il telo viene tirato su lentamente ai quattro lati della scenografia e compare un quadrato il legno, svelato come un trucco di magia. E spunta un corpo, un’entità non umana che scopriremo solo successivamente chi è. È la raffigurazione dell’Altro, un non-uomo, o meglio una non-donna. È Ariel, lo spirito del vento, interpretata dalla splendida Chiara Michelini. Le luci aumentano, il telo sale e raccoglie il fumo. Il corpo si anima, balla, e sentiamo gli effetti della tempesta: gli uomini sballottati dalle onde contro la barca, le grida, gli schiamazzi, la perdita del controllo. La vediamo. Ariel è tempesta, insieme al telo che si muove senza pietà, come le onde che scalfiscono l’imbarcazione. Il fumo arriva tra il pubblico e ho paura anche io, trattengo il fiato e resto immobilizzata di fronte al quadro bianco, nero, grigiastro e assordante che mi trovo davanti e che smuove le corde dell’anima. È un momento di una forza inaudita. Mi trovo presa a schiaffi e accarezzata dal Teatro. Nel prologo il regista riesce a contenere tutta l’opera di Shakespeare, ed è proprio questa l’incredibile forza del lavoro dell’autore e della messa in scena di Alessandro Serra. È di fronte a una scena di questo genere che il gioco teatrale della mímesis genera quel processo di coinvolgimento tale nel pubblico da condurre al processo di elevazione e catarsi di aristotelica memoria. È interessante in un certo senso (ma forse questo è merito più dell’opera di Shakesperare che della regia) la capacità di svelare il teatro nella sua forma originale, pura, senza orpelli e plasma. La messa in scena di Serra ricalca quella direzione, anche se in modo più fisico. Il quadrato sopraelevato di qualche centimetro consiste nell’unico punto di riferimento fisso della scenografia. Un quadrato neutro, un tentativo di essere qualcos’altro, che ancora una volta non fa che ricordare la potenza del teatro.
Lo stupore non termina nei minuti introduttivi ma rimane altissimo per l’intera durata dello spettacolo. Il prologo continua con il racconto dell’antefatto per mano di Prospero (Marco Sgrosso) alla figlia Miranda (Maria Irene Minelli). Tra il fumo che copre il fondale del palco compaiono uno alla volta come corpi morti e fantasmi i personaggi naufragati che vengono nominati, tenuti al colletto da Ariel: Antonio (Valerio Pietrovita), Alonso (Massimiliano Donato), Sebastiano (Paolo Madonna) e Gonzalo (Bruno Stori). Animano questo spettacolo onirico anche Ferdinando (Fabio Barone), Trinculo (Massimiliano Poli) e Stefano (Vincenzo Del Prete). Nota di merito, per l’intensità nell’interpretazione, al bravissimo Jared McNeill, nelle vesti del “mostro” Caliban. Il cast intero ha dimostrato un enorme affiatamento, armonia sulla scena e un ritmo invidiabile.
Meravigliosa la messa in scena e l’utilizzo dei tagli di luce generati dai movimenti delle pareti mobili sullo sfondo in grado di illuminare o oscurare con estrema forza emotiva quanto si svolge sul palcoscenico. Non è mancata un’impeccabile rottura della quarta parete che è servita come escamotage per fare rivestire gli attori tra la scena del matrimonio e la successiva.
Alessandro Serra ha curato, oltre alla traduzione, l’adattamento e la regia, anche le scene, le luci, i suoi e i costumi. Stefano Bardelli ha collaborato alle luci e Francesca Novati ai costumi. Le maschere sono di Tiziano Fario.
Un momento altissimo per la stagione del Teatro Stabile di Torino che mi fa desiderare di rivedere al più presto possibile la regia di Alessandro Serra sulle scene torinesi.
Giulia Basso
Fotografia di Alessandro Serra