“Il giardino dei ciliegi” di Alessandro Serra fiorisce in prima assoluta alla Biennale Teatro
“Non c’è trama, non accade nulla, tutto è nei personaggi.” Alessandro Serra
Il nuovo lavoro di Alessandro Serra ha debuttato in prima assoluta in occasione della Biennale Teatro a Venezia sabato 3 agosto al Piccolo Teatro Arsenale: si tratta di “Il giardino dei ciliegi” di Anton Čechov. Tanta curiosità per questo spettacolo, che vanta un cast di 12 attori e, come di consueto, Serra cura non solo la regia, ma anche la drammaturgia, le scene, i costumi e le luci. Un lavoro imponente e una durata di circa 170 minuti.
Non appena si apre il sipario del Piccolo Teatro Arsenale si espande subito il silenzio, un’atmosfera profonda che riempie con la sua intensità e mantiene attento lo sguardo di ogni spettatore, che si trova a osservare gli attori, uno ad uno, entrare in scena in un reticolo giocoso e armonioso. A rompere il silenzio sarà poi Ermolaj Alekseevič Lopachin (uno straordinario Leonardo Capuano, già strepitoso protagonista di “Macbettu”), quando si sveglia dopo un sonno che è durato troppo a lungo e realizza che oramai è tardi per andare a prendere alla stazione la padrona di casa Ljubov’ Andreevna Ranevskaja (Valentina Sperlì), di ritorno alla tenuta d’infanzia con la figlia Anja (Marta Cortellazzo Wiel), la governante Charlotta Ivanovna (Chiara Michelini) e il cameriere Jaša (Andrea Bartolomeo). Della tenuta si è occupata Varja (Petra Valentini), la figlia adottiva di Ljuba, con i servitori Dunjaša (Arianna Aloi), il contabile Semën Panteleevič Epichodov (Massimiliano Donato) e il vecchio maggiordomo Firs (Bruno Stori). Ad accogliere la padrona c’è anche il vicino proprietario terriero Simeonov- Piščik Boris Borisovič (Massimiliano Poli).
Una scena minimale, curatissima, partiture precise, immagini nitide che si vedono attraverso il corpo e le parole degli attori. Un ritorno all’infanzia quello di Ljuba, a un tempo passato e felice, che la porta a staccarsi dal presente, non curandosi dei debiti accumulati negli anni che rischiano la vendita del giardino dei ciliegi e continuando a spendere soldi senza contenersi. Il legame con il passato è condiviso con suo fratello Leonid Andreevič Gaev (Fabio Monti): entrambi rifiutano il compromesso che implica l’abbattimento del giardino e la salvezza economica. Il giardino dei ciliegi rappresenta anche un ricordo tragico per Ljuba, che viene rievocato quando incontra Petr Sergeevič Trofimov (Felice Montervino) maestro di suo figlio, Griša, annegato nel fiume all’età di 7 anni. Questo fatto la costrinse a lasciare il giardino cinque anni prima per trasferirsi a Parigi.
Nella seconda parte dello spettacolo ci si accorge subito che qualcosa è cambiato, regna l’attesa nonostante si stia svolgendo una festa con l’orchestra, balli e giochi. I costumi dei personaggi sono cambiati, ora tutti sono vestiti di nero, a differenza della prima parte, in cui, tra tutti, spiccava il rosso dell’abito di Charlotta. Tutti sanno, ma non vogliono ancora sapere, in quei momenti la tenuta è all’asta. L’attesa termina finalmente all’arrivo di Lopachin che, ubriaco, divertito e ancora incredulo, dichiara di essere il nuovo proprietario del giardino dei ciliegi.
“Un valzerino allegro in una commedia intessuta di morte. Comicità garbata, mai esibita, perfetto contrappunto in un’opera spietata e poetica.” Alessandro Serra
Alessandro Serra è perfettamente riconoscibile nello stile registico evocativo, nella fluidità e nell’armonia delle scene corali, molto suggestive e poetiche; non ci sono elementi concreti a rappresentare i luoghi, solo oggetti e tre grandi pareti su cui prende forma l’immaginario: la stanza dei bambini, il giardino dei ciliegi (o, più precisamente, delle “amarene” se si rimanda al testo in russo) elementi che possono continuare a vivere solo nell’anima, ma a cui Ljuba e Gaev continuano ad aggrapparsi anche quando vengono distrutti dall’inazione. Non è una commedia e non è un dramma, è semplicemente la vita; come lo stesso Serra dichiara, il testo è “una partitura per anime, in cui i dialoghi sono monologhi interiori che si intrecciano e si attraversano. Un unico respiro, un’unica voce.”
Tre ore che scorrono via tra canti, giochi, vittorie e sconfitte, cambiamenti e situazioni immutabili. Un cast davvero straordinario quello di questo giardino, che da subito entra in profondità e fa emergere evocazioni dalle quali si può uscire forse solo alla fine o, in alternativa, aiutano a navigare in quelle presenti in ognuno di noi. Imperdibile.
Roberta Usardi
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