“Il giardino dei ciliegi” fiorisce con Serra al Teatro Argentina
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“…una partitura per anime, in cui i dialoghi sono monologhi interiori che si intrecciano e si attraversano. Un unico respiro, un’unica voce.” – Alessandro Serra
Brusio di voci. Silenzio. Il sipario del Teatro Argentina si apre su una nuova realtà o forse in un sogno. Da un pavimento di corpi prende vita “Il giardino dei ciliegi”, con drammaturgia, regia, scene, costumi e luci di Alessandro Serra. Un lavoro immenso – con prima assoluta alla Biennale Teatro di Venezia 2019 – che vede sulla scena ben 12 attori:
Leonardo Capuano è Ermolaj Alekseevič Lopachin che, intrappolato dal sonno, non si desta in tempo per andare a prendere in stazione Ljubov’ Andreevna Ranevskaja, interpretata da un’elegante e sinuosa Valentina Sperlì, in arrivo da Parigi per tornare alla sua vecchia tenuta dopo molti anni, accompagnata dalla figlia Anja (Marta Cortellazzo Wiel), dalla governante Charlotta Ivanovna (Chiara Michelini) e dal cameriere Jaša (Andrea Bartolomeo). Ed ecco che il passato si risveglia nella mente di Ljuba, che si ritrova immersa improvvisamente in un limbo e lontana dalla realtà e da ciò che sta per accadere: l’imminente perdita della tenuta e dell’annesso giardino dei ciliegi, sacrificio necessario per risanare i debiti; ma né lei, né suo fratello Leonid Andreevič Gaev (Fabio Monti) hanno intenzione di reagire in alcun modo per impedirne la vendita. Difatti, per Ljuba la tenuta è anche legata a un avvenimento, che le ripiomba tragicamente addosso quando rivede Petr Sergeevič Trofimov (Felice Montervino), maestro di suo figlio Griša, annegato proprio lì, nel fiume, a soli 7 anni. Durante l’assenza di Ljuba è stata sua figlia adottiva Varja (Petra Valentini) a prendersi cura della tenuta con i servitori Dunjaša (Arianna Aloi), il contabile Semën Panteleevič Epichodov (Massimiliano Donato) e il vecchio maggiordomo Firs, interpretato da un eccezionale Bruno Stori. A loro si unisce il vicino proprietario terriero Simeonov-Piščik Boris Borisovič (Massimiliano Poli). Questa armoniosa atmosfera quotidiana si incupisce drasticamente ai nostri occhi, mentre tutti i personaggi fingono indifferenza su ciò che è accaduto o sta per accadere; negando quasi l’evidenza, anche nel momento in cui Lopachin dichiara di essere diventato il nuovo proprietario del giardino dei ciliegi.
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Alessandro Serra costruisce un capolavoro su una meravigliosa sequenza di quadri in movimento, i cui elementi cambiano dalle mani stesse degli attori, che compongono e scompongono da soli la scenografia: nel momento in cui questa resta vuota, sono i loro stessi corpi a disegnarne i confini, sono le loro stesse ombre a occuparla in un crescendo smisurato; ombre che si staccano da quei corpi creando altre storie, prendendo altre vie e muovendosi, parlando, per interagire loro stesse con i personaggi. Si innalzano in questo modo – offuscate da terra e fumo – suggestive scene corali. Ed ecco che, anche nella nostra mente, si costruiscono le stanze e l’immensità del giardino dei ciliegi, immaginato e creato da Anton Čechov.
In scena al Teatro Argentina di Roma fino all’8 marzo.
Marianna Zito