“Questa mia carne” di Melissa Febos

“Sono diventata una scrittrice perché nella scrittura ho trovato uno strumento per sopravvivere, ed è ancora così”.
“Questa mia carne” (nottetempo, pp. 180, euro 16.50) è una raccolta di saggi con cui l’autrice americana Melissa Febos prova a “descrivere i vari modi in cui la scrittura si integra con gli impulsi”, per lei indispensabili, nel corso della vita. Parliamo di impulsi politici, corporei, spirituali, psicologici e sociali. Ecco, quindi, che la scrittura diventa quel mezzo essenziale per digerire e far interagire fra loro le esperienze della vita, soprattutto quelle legate alla “sofferenza di stare al mondo”. Scrivere – nei diversi modi possibili – ci fa diventare utili per noi, ma anche per gli altri: è quell’azione che diventa la forma di libertà per eccellenza.
“Chi tra voi ha subito un atto di violenza, abuso, estremo disarmo, aggressione sessuale, stalking o umiliazione?”. A chi interessa la nostra vita? Chi leggerebbe mai il nostro memoir? E se dovessimo mai decidere di scriverlo, perché lo faremmo? A volte è il caso a portare verso lo snocciolamento della trama che ci appartiene, ciò può avvenire con svariate modalità, grazie a un professore nel caso di Melissa Febos, che la porterà a raccontare la sua esperienza di scrittrice, dopo un passato da eroinomane e sex worker, il risultato è un libro “sul di desiderio, sulla vergogna, su corpo, droga e denaro”, con la voglia e la necessità di condividere con chi ha avuto la stessa esperienza e di comprendere la connessione tra ciò che le è accaduto.
E in questa raccolta di saggi, Melissa Febos analizza il significato del parlare di sé, del proprio corpo, delle proprie esperienze positive e negative, per far sì che l’arte della scrittura possa attuare quella trasformazione emotiva e psicologica verso la strada della guarigione. “Non è per liberarmi che ho scritto un memoir; eppure nel farlo è successo”: ecco la scrittura terapeutica e salvifica per la salute ora mentale ora fisica e per la salvaguardia di quella che conosciamo come memoria collettiva. “Lo dirò ancora, perché serve ripeterlo: la ritrosia verso i memoir che parlano di un trauma è sempre in parte – spesso totalmente – un’opposizione ai movimenti per la giustizia sociale”, ecco qualcosa di veramente sovversivo.
Scrivere riabilita, come diceva Gibbs, perché porta a una nuova conoscenza di sé e a riconoscere come proprie le azioni che si sono compiute in passato, dando un ruolo non solo a noi stessi ma anche a chi avevamo accanto; questo permette di avere una visione più chiara anche sul nostro futuro.
Marianna Zito