“Troppo lontano per andarci e tornare” – Il viaggio circense di Stefano di Lauro
Lasciate ogni speranza voi che iniziate a leggere queste pagine. Sì, lasciate fuori dalle vostre stanze, lontano dalle vostre luci sul comodino ogni distrazioni o debolezza. Fuori il lavoro che non vi piace, le questioni d’amore imbruttite e via la routine di tutti i giorni per iniziare un viaggio con la compagnia circense più romantica e stravagante che ci sia. Venghino signori e signore, l’incredibile spettacolo della vita, l’incredibile spettacolo della muerte. Il direttore di questo circo, Stefano di Lauro ci porterà a miglia e miglia da qualunque posto fra le ombre dell’atlante, laddove la volpe e la lepre si dicono buonanotte, a bordo di una nave mercantile verso le coste dell’Argentina, “Troppo lontano per andarci e tornare” (Exòrma, Collana quisiscrivemale, 2019, pp. 348, euro 16,50).
Nessuna classe per i nostri strampalati passeggeri perché la prima costa mille lire, la seconda cento e la terza dolore e spavento. Basta una stiva e carovane, carri e gabbie a creare una casa che tanto il circo, la casa, come una tartaruga, se la porta dietro con sé. Un viaggio verso nuovi mondi che la Francia ormai, il circo Diable Vauvert, un’espressione che suggerisce luoghi vaghi, lontani, inaccessibili, l’ha girata in lungo e in largo. Quando agli spettacoli circensi non ci pensa più nessuno, quando il pubblico scompare e si ritira come il mare in Bretagna, ai nostri erranti diavoli non resta che tentate la fortuna nelle Americhe, in Argentina, al di là dell’Oceano. E si sa, il viaggio in nave, che da sempre suggerisce avventure e fantastiche esperienze, è lungo così che ci serve su un piatto ruotante d’acrobata il giusto pretesto per conoscere questi esseri unici, questi artisti di strada vissute sulle strade della vecchia Europa. Si scoprono a noi come storie intorno al fuoco, come racconti di ubriaconi in luoghi loschi e memorabili. Un caleidoscopio di personaggi indimenticabili dalle vite bizzarre e immaginifiche. Con le loro avventure e giorni vissuti veniamo a conoscenza della nascita di questo circo dove tutti insieme, gli artisti, formano una famiglia e la famiglia importante è quella che ti scegli, quella che non ti fa sentire più solo come ci insegna Nounours, suonando per noi il suo bandonion, una fisarmonica più simile a un organetto. La famiglia è quel luogo magico come può esserlo solo il circo, dove tutti possono – nella loro diversità a particolarità – essere se stessi senza nascondersi, essere tutti unici con le proprio caratteristiche e sentirsi però al tempo stesso, simili agli altri, “uno di noi”.
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Un racconto, quello di Stefano di Lauro, tra il surreale e la fantasia trasognata, che ci descrive le vite degli artisti di strada come delle tessere di un mosaico più grande che è il circo Diable Vauvert, alternando le strade di Francia, i suoi paesini, Marsiglia, Arles, i villaggi algerini – come nella migliore letteratura di viaggio – alla stiva del piroscafo Holy Steam che la notte del 31 dicembre 1899 salpò alla volta dell’America Latina. Un posto chiuso, protetto al riparo dall’acqua salata degli oceani che però è, al tempo stesso, un luogo non chiuso, in movimento come lo è a sua volta il circo. Un romanzo che è tutto un camminare dalla prima pagina all’ultima come del resto lo è la stessa data scelta dallo scrittore, la notte di Capodanno a cavallo tra il vecchio e il nuovo, tra ciò che è stato e ciò che ha da venire.
Antonio Conte