“La tempesta” perfetta di Alessandro Serra al Piccolo Streheler di MIlano
Il termine tempesta perfetta è impiegato in meteorologia per descrivere un ipotetico uragano che colpisca esattamente l’area più vulnerabile di una regione, provocando il massimo danno possibile per un uragano di quella categoria. – Da Wikipedia
In particolare, in una tempesta “perfetta” tutti gli eventi e tutti gli elementi convergono per determinare qualcosa di sbalorditivo. Se li consideriamo uno per uno, ciascuno degli eventi può non essere particolarmente straordinario, ma nel momento in cui questi elementi si combinano i risultati diventano formidabili.
Non è facile parlare di questa nuova, attesissima opera di Alessandro Serra senza ricorrere a termini estremi, con il rischio di apparire esagerati. Ma il Teatro è rischio, sempre, perciò anche la parola a suo commento non può, non deve, che essere coraggiosa. Coraggio che non difetta certo, in primis, allo stesso Serra, che torna dopo la parentesi cechoviana del Giardino dei Ciliegi a confrontarsi con un’opera di Shakespeare tra le più complesse e per molti versi potenzialmente scivolose.
Qualcuno potrebbe essere tentato di insinuare che la scelta di cimentarsi in questa “Tempesta” rappresenti una fuga; la ricerca di una “comfort zone”, di un porto sicuro ove ripararsi appunto dalle tempeste alle quali il precedente “Giardino” era stato esposto. Voglio essere subito chiaro: non la penso così. Chi come Serra ha firmato una creazione meritatamente acclamata in tutto il mondo come il suo Macbettu, sa di aver posto sul proprio percorso un’enorme pietra di paragone che lo costringerà a ricercare appunto sempre la “perfezione”. Una responsabilità, questa, che Serra si assume in pieno firmando regia, scene, luci, suoni e costumi di questa “Tempesta”.
Lo spettatore viene, sin dalla prima scena. investito da un’onda tellurica di immagini, suoni, vibrazioni in cui gli sarà dolce naufragare. Per creare sul palcoscenico il micro mondo ove si svolge la vicenda, un’isola sospesa tra realtà e magia, Serra utilizza tutte le sue “arti”. Le scene, veri e propri quadri, ci restituiscono immagini potenti e indelebili. Le scelte registiche sono chiare: un equilibrio se così si può definire “democratico” rispetto al peso dei personaggi (non c’è un “Prospero” preponderante rispetto agli altri); una modalità di recitazione coerente e chiara (mai fuori luogo, anche nelle scene apparentemente “fuori contesto”); un cast di attori perfettamente centrato (bravissimi tutti, con una nota di merito in particolare alla magica Chiara Michelini negli eterei panni di Ariel spirito dell’aria); una trama, tra le più complesse di Shakespeare, sostanzialmente rispettata e interpretata in modo da sottolineare alcuni aspetti della contemporaneità (es. la lotta, fratricida e non solo, per il potere, il “mostro” nero ecc.); l’inserimento di intermezzi comici (come “le streghe” nel Macbettu); il coinvolgimento di tutti i sensi dello spettatore; lo spiazzamento che crea l’infrangere la barriera tra chi è in scena e chi in quel momento spettatore.
Va, inoltre, riconosciuto che la firma di Alessandro Serra è come sempre evidente, e il suo Teatro è perfettamente riconoscibile. Un Teatro che può sembrare forse un sogno; ma che, poiché siamo fatti della stessa sostanza, non per questo si può dire meno umano. La sua Tempesta è in questo senso perfetta, anche se possiamo star certi che, come altri spettacoli, subirà nel tempo tagli, modifiche, assestamenti. Il termine “Tempesta perfetta” definisce un fatto, per quanto ipotetico, non esprime un giudizio assoluto. La si può amare, ma non è scontato: è (perfettamente!) legittimo che ci sia anche chi sulla scena ricerca invece l’imperfezione, chi pretende il graffio “sporco” di un altro tipo di Teatro. È anche in questa possibile e pacifica coesistenza di sensibilità diverse che consiste la magia del Teatro.
Il consiglio, per tutti, è di andare a vedere “La Tempesta” di Alessandro Serra per scoprire quanto siamo sensibili a quello che, comunque la si pensi, è un gran bell’uragano.
In scena al Puccolo Streheler di Milano fino al 27 novembre.
Alessandro Bizzotto