DI COLPO LEI – “PADRENOSTRO” DI IVANA MESSINA AL CAFÉ MÜLLER
In principio era il suono, la vibrazione, il granello che scava la membrana lasciando una traccia di sé. Il granello era presso il padre, alla tavola imbandita sul palco, e la sua traccia si interrompeva sempre nello stesso punto: “Padre nostro, che sei nei cieli, venga… Com’era? Padre. Nostro. Che sei nei cieli. Venga… Non mi viene in mente”. Nel tempo imperfetto delle cose come erano, fa irruzione il tempo presente: dalla sala muove verso il palco una figura femminile, con la stessa impetuosità̀ di una foresta contro un castello di Scozia. “Io, mio padre, lo odio. Più̀ di tutto, quello che odio è la sua miseria continua, costante, una miseria che mi stanca, non mi fa respirare.” La collisione appare prossima, l’urto inevitabile, il proiettile innescato. Ma ciò̀ che la figlia impugna contro il padre è una chitarra, non una pistola.
“Padrenostro” di Ivana Messina, ideato in collaborazione con Kulturscio’k live art collective e portato in scena nello scrigno del Cafè Müller di Torino sabato 9 febbraio nell’ambito della stagione 2018-2019 della Fondazione Cirko Vertigo, è paragonabile ad un fiore delicato e al contempo selvaggio, cosparso di screziature, ogni petalo lascia intravedere – senza indurre in spiegazione, amen – il tema al centro della corolla.
Insieme a Mario Trimarco (che veste i panni del signor padre), la Messina disegna con la voce e con il corpo una originale liturgia acrobatica, tesa sull’orizzonte che separa la terra dal cielo, il (r)umore viscerale dalla sorda eternità̀. L’acrobazia è scandita dal ritmo delle canzoni e sostenuta dai video di Franco Borrelli, mentre l’elemento liturgico ricorre, in forma diversa, sia nei testi sia negli oggetti in scena, come ben dimostra il tavolo: mensa prima e patibolo poi, un altare a tutti gli effetti. Assistere a questo spettacolo significa entrare in contatto con la tensione umana di fondo – quella per cui nessuno può̀ esistere senza essere rivolto a qualcosa, a qualcuno al di fuori del proprio Io. Una tensione che inghiotte tanto l’amore quanto l’odio, come brandelli di un unico corpo offerto in sacrificio, o strofe della stessa canzone “Bang bang (My babe shot me down)” in lingue diverse. Poco importa che il signor padre volga le spalle e un categorico “No!” alle domande che gli vengono rivolte, a tutte tranne all’ultima: una risposta affermativa, una sillaba, da sola, può̀ essere rete di salvezza.
Pier Paolo Chini