“Macbettu” – La bellezza barbaricina torna a Roma
“E si faddimus?”
Il Teatro Argentina è pieno e accoglie con lunghi applausi e tanto entusiasmo il ritorno a Roma di “Macbettu”– in scena fino al 5 maggio – lo spettacolo di Alessandro Serra che, con una velocità impressionante, ha raggiunto e superato le cento repliche in Italia e nel mondo e vinto prestigiosi Premi, come l’UBU per il miglior spettacolo del 2017.
Ma cosa ci piace di questo Macbettu? Forse la “provocante e provocatoria” Lady Macbettu che con il suo corpo – longilineo ed eretto – ci pone davanti alla figura di un potere androgino universale. Ci turba, ci affascina e ci distrugge insieme a se stessa in una fine che vorremmo impedire e che – pur conoscendola – di fatto, ci scuote. Ci piace, forse la profondità barbaricina che Serra ci permette in questo modo di conoscere e di cui riusciamo a scorgere le radici robuste e forti e con i suoni gutturali e potenti della lingua sarda – qui nella traduzione di Giovanni Carroni – sviluppati tra eco e ridondanze accordate e cantate perfettamente che, nella sala del Teatro di Roma, ci superano e oltrepassano imponendo, inoltre, alla vista quei gesti e a quella fisicità possente in grado di creare immagini articolate dai soli corpi: i rumori assordano e il richiamo antico di una terra esoterica ci penetra e ci scompone. Lo avevamo già detto ma ci piace anche e ancora ripeterlo, come ci piace ancora e ancora rivedere il risultato di questo studio: i suoni cupi dei campanacci, i costumi dai toni bianco e nero, le pietre che cadono – nelle musiche di Pinuccio Sciola – il pane carasau che scrocchia sotto i passi e la forza delle maschere dei Mamuthones diventano la tela vivente su cui ricomporre il Macbeth shakespeariano, su cui unire e mescolare i sapori della Sardegna e della Scozia. L’ambientazione vuota, buia e tetra, diventa un dipinto chiaro scuro, paradossalmente pulito e lineare nella complessità degli elementi simbolici – come le pietre e coltelli – di cui è composto, ed è illuminata solo dalla ilarità sovrannaturale delle streghe – le attitadoras – che si contrappongono alla nuda crudità della morte, alla pasoliniana e avida scena dei porci e ancora ai corpi esanime che vengono crudamente trascinati a terra.
Sul palcoscenico, come sappiamo, troviamo solo uomini: Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Andrea Carroni, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu e Felice Montervino. Ognuno è un tassello indispensabile di questo ingranaggio firmato magistralmente da Alessandro Serra.
Marianna Zito