Appassionato e straripante, “Il Miles gloriosus” della Compagnia del Sole
“Da uno spettacolo non si dovrebbe mai uscire senza una sorpresa o una scoperta o un’emozione nuova o un senso di leggerezza che non ha a che fare con l’argomento trattato, ma con quanto ci ha coinvolto”. – Marinella Anaclerio
La stagione del Teatro Traetta di Bitonto (piccolo gioiello all’italiana), lo scorso 10 gennaio, ha aperto le porte alla Compagnia del Sole, e al loro straripante “Miles gloriosus”. Il testo di Plauto è portato in scena con la appassionata e sapiente regia di Marinella Anaclerio, che ne ha curato anche la traduzione dal latino. Un lavoro, quello sul Miles, che la regista porta avanti in maniera approfondita e personale sin dal 2006, fino a giungere all’attuale versione scenica, che ha debuttato nel 2018 al Festival di Velia e calcato con grande successo il prestigioso palco del Festival plautino di Sarsina.
La commedia, tra le prime dell’autore, presenta una trama tipica dei canovacci fissi della tradizione teatrale greca prima e latina poi, come tipi e maschere sono anche i caratteri che la animano. Primo tra tutti il soldato del titolo, vanaglorioso e pieno di sé, Pirgopolinice (un perfetto Claudio Castrogiovanni) “espugnatore di fortezze e di città”, conquistatore di donne, onori e ricchezze, e smisurato nella sua vanità, personaggio comico proprio grazie all’esagerazione di ogni suo vizio. Gli spettatori ridono di lui come fa il parassita Artotrogo (Loris Leoci) “roditore di pane”, abilissimo nell’adularlo per trarne sostentamento, salvo poi farsene beffe nei suoi a parte. Il vero motore dell’intreccio si rivela il servo astuto Palestrione (Flavio Albanese, irrefrenabile), che escogita una serie di intrighi e raggiri – a partire da quello ai danni dello schiavo Sceledro (Dino Parrotta) – per liberare se stesso e la giovane Filocomasio (Valentina Bonafoni), amante del suo precedente padrone Pleusicle (Tony Marzolla) e rapita dal miles ad Atene. Decisiva è la collaborazione del vecchio vicino di casa del soldato, Periplectomeno (Luigi Moretti), e delle meretrici Acroteleuzio e Milfidippa (Alessia Raccichini e Stella Addario).
L’approccio registico coglie pienamente e riesce a conservare lo spirito del testo classico e la sua autenticità, a partire dalla traduzione in un italiano ricchissimo e contaminato con accenti e cadenze regionali (il romanesco di Moretti in particolare, in cui risuona l’operazione del Vantone pasoliniano), che trattiene in sé termini e costruzioni latine con freschezza e disinvoltura, e rende appieno l’unicità della lingua plautina, con i suoi ritmi sfrenati e innumeri, il gusto per i giochi di parole, le ripetizioni ossessive, le assonanze e allitterazioni. Grazie anche a un cast di interpreti che splende per coesione e per quella coralità che, allo stesso tempo, mette in risalto la singolarità magnetica e irrinunciabile di ciascuno, si respira il carattere irruente e beffardo, la vis comica e goliardica, il piacere del gioco teatrale per se stesso, che esula anche, in fondo, da ogni facile moralismo.
Nelle maglie di questo ludus si innesta con naturalezza un tessuto di rimandi e citazioni a sottolineare quanto certi nuclei di senso, certe attitudini umane o situazioni siano state sempre contemporanee, in quanto capaci di riemergere di epoca in epoca nella storia e nella cultura. Un rendere sincronico sul palcoscenico quello che è stato diacronico: così sono intrecciati Plauto, la commedia dell’arte, o le arie più celebri dell’opera, dal Don Giovanni alla Turandot all’Italiana in Algeri (intuizioni particolarmente calzanti). Poiché oltretutto per il commediografo latino fondamentali erano le esecuzioni canore e strumentali (delle cui partiture nulla si conserva) e la sensibilità musicale della Anaclerio non manca di ricordarcelo.
Passato e presente convivono inscindibili, e anche la Efeso dell’originale viene trasfigurata in un luogo ed un’epoca non definiti nella misura in cui possono rappresentarle tutte, nella stessa cornice materica, ruvida nel legno e nei tessuti (scenografia di Pino Pipoli, costumi di Stefania Cempini). Un caleidoscopio di particolari e oggetti punteggia la scena e i personaggi, rievocando atmosfere e iconografie da antica Roma come da commedia all’italiana.
Sul palcoscenico, dunque, temi e caratteri che nel teatro, come nella realtà, continuano a vivere nel loro eterno ritorno. Si ride di gusto ma soprattutto con intelligenza, si stimola al pensiero e all’atteggiamento critico. Perché il soldato con gli occhi illuminati solo dal suo riflesso, le parole a gonfiare il vanto delle sue conquiste, alla fine viene gabbato, picchiato, umiliato, rimane per un attimo al buio (chiaroscuro efficacissimo nel disegno luci di Mauro Marasà), ma poi si rialza, e non sembra aver imparato la lezione.
Lo spettacolo sarà ancora in scena al Civico di La Spezia il 24 gennaio 2020.
Mariangela Berardi
Nota: la citazione iniziale è tratta dall’intervista di Irene Gianeselli alla regista Marinella Anaclerio (link http://oubliettemagazine.com/2016/01/26/intervista-di-irene-gianeselli-alla-regista-marinella-anaclerio-il-teatro-strumento-di-trasmissione/)