Torino: la casa studio di Carol Rama ora è visitabile
L’ampliamento della proposta culturale di una città è sempre un lieto evento. Se poi quest’espansione coinvolge dei luoghi sensazionali, non si può far altro che lasciarsi trasportare dalla magia della scoperta.
Siamo a Torino, appena fuori dal centro: via Napione corre verso nord, parallela al Po, attraversa tutta Vanchiglia e arriva al confine con Vanchiglietta. Al numero 15, a due passi dalla villa studio di Carlo Mollino, in cima ad un austero condominio sabaudo, si trova la casa studio di Carol Rama: in cima alla quarta rampa di scale, oltre una porticina di legno, si accede a una semplice ma ampia mansarda scura, misteriosa, vibrante. I soffitti sono curvi, ma slanciati e alti; i muri color tortora, poi antracite, poi ardesia, poi argento, poi tinta asparago; tutto grigio a eccezione – scoprirò più tardi – di uno sgabuzzino foderato di carta da parati leopardata. Le finestre ci sono, ma la luce non filtra: tutte devono rimanere sbarrate o coperte con dei teli neri, proprio come voleva Carol. E poi un’infinità d’oggetti, opere, libri. Di fianco all’entrata, una catasta di cartoline, inviti, fogli, disegni, ceste di legno da mercato. In cucina, nello studiolo e in camera da letto, decine di fotografie: ritrattini di Man Ray, Carol con Pasolini, con Liza Minnelli, con Luciano Anselmino; le polaroid con Warhol, con i galleristi, con gli amici. E poi, sempre nelle cornici, i suoi disegni, quelli dei figli degli amici, una poesia di Sanguineti, un ritratto della badante che ha vissuto con lei negli ultimi anni. Da alcune foto, peraltro, si evince che una volta le finestre rimanevano aperte sul panorama del Lungo Po Cadorna, e le pareti erano colorate. E ancora: le lampade, le collane che creava, le sue sgargiantissime scarpe (tra cui quelle che le regalò Mollino), scatole piene di occhi vetro, rane di ceramica, manifesti, il Leone d’Oro che la Biennale di Venezia le consegnò troppo tardi, varie opere di Man Ray, altrettante non attribuibili, e ovviamente anche il mitico gancio degli stracci di Picasso (scelto da lei e consegnatole dallo stesso Pablo, che le aveva detto di scegliere tra le sue opere quella che le piaceva di più). Tutto, o quasi, è rimasto esattamente come lo aveva lasciato lei, nel 2015, quando si è spenta alla veneranda età di 97 anni.
Olga Carolina Rama era nata il 17 aprile 1918, in una Torino profondamente diversa da quella di oggi. Da giovanissima spiega ai genitori che diventerà una pittrice, e il padre non solo acconsente, ma le regala anche un set di colori in polvere che Carol non finirà mai: ancora oggi sono conservati, come un antico cimelio consacrato, nella biblioteca di via Napione. Carol frequenta l’atelier di Felice Casorati, che ne intuisce l’abilità, ma le sue prime personali vengono censurate, alcune opere sequestrate: troppi corpi nudi, troppi letti di contenzione, troppi corpi amputati, troppe protesi, dentiere e angosciosi manichini che turbavano la morale borghese degli anni Trenta e Quaranta. Frequenta l’Arte Concreta di Torino, inizia a esporre a Venezia, e col tempo acquista una certa fama tra gli addetti ai lavori. Negli anni Settanta è a Parigi, poi a New York. Lea Vergine la espone a Milano, negli anni Novanta altre mostre in giro per il mondo, poi Achille Bonito Oliva la sceglie per una personale alla XLV Biennale; fino al 2004, quando è Patrizia Sandretto Re Rebaudengo a riportarla a Torino, con un’ampia retrospettiva nella sua fondazione di via Modane, in Borgo San Paolo. L’anno prima, il Leone d’Oro alla Biennale di Francesco Bonami. Ma nonostante tutti i viaggi, il punto di ritorno rimaneva sempre Torino: l’appartamento di via Napione, in cui andò a vivere nella metà degli anni Quaranta, divenne la sua wunderkammer abitabile, dove per oltre settant’anni ha dipinto, creato, dormito, mangiato, ballato. Un luogo che vibra di una forza e di un genio forse difficili da interpretare, ma degni di una certa ammirazione aprioristica, quell’ammirazione che si deve agli ecosistemi che funzionano grazie a un tenue lucore enigmatico ma anche benevolo, intelligente, pacifico: passeggiare per le stanze della casa studio, e respirare tutta quell’arte intesa come essenza dell’esistenza, come ragione di vita, sconvolge e rincuora ogni avventore. Ergo non potete perdervi un’occasione così.
Il giorno successivo al decesso, avvenuto il 24 settembre del 2015, diventa effettivo il vincolo giuridico per il quale nessun oggetto dell’artista può lasciare l’appartamento. Niente può essere barattato o spostato di sede. Nel 2019 la Fondazione Sardi per l’Arte acquista i beni, e li cede in comodato all’Archivio Carol Rama. A soli quattro anni dalla morte, dal 5 novembre scorso, la casa studio diventa visitabile.
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Davide Maria Azzarello