Michelle Grillo e “Il tempo che resta”
“Il tempo che resta” (Alessandro Polidoro Editore, pp. 145, euro 12) è il secondo romanzo di Michelle Grillo.
Anna è “…nata povera, con un piede nella miseria e l’altro nel disagio. Una vita sottomessa alla necessità.” Non può andare al liceo come vorrebbe, deve fare l’Istituto Professionale e mettersi a lavorare al più presto. Non può avere vestiti carini, le toccano quelli smessi della sorella maggiore. Non può pagarsi Coca Cola e patatine fritte, se non rivendendo piccoli oggetti che rubacchia qua e là. Le passa così, Anna, l’infanzia, l’adolescenza, la prima giovinezza, immersa in “piccoli gesti quotidiani (che) rimarcavano il noi e il loro”, cercando le imperfezioni anche nelle famiglie degli altri, per sentire meno l’inadeguatezza della propria. Quando finalmente riesce ad avere qualcosa di suo, non arriva come vorrebbe o non riesce ad averne cura come vorrebbe. E così, Anna scopre un altro tipo di miseria. Noi la incontriamo per la prima volta chiusa dentro un Istituto, alle prese con compagne di reclusione e visite dalla psicologa, cercando di ricostruire il tempo passato e forse di recuperare il tempo che resta. Lo stesso tempo che Anna ha provato a bruciare, a riavere indietro e che alla fine si risolve in un abbraccio, il più lungo possibile.
È un romanzo bellissimo. Bellissimo e triste, in cui Michelle Grillo ci regala immagini vivide, come quando descrive la casa di zia Rossana, che zia non è, ma tutti la chiamano così. L’autrice alterna presente e pezzi di vita passata, senza perdersi, facendoci arrivare esattamente dove vuole e dove vogliamo anche noi, perché ci auguriamo che, alla fine, possa succedere qualcosa di bello, di giusto, un riscatto. E forse è così. Sta a noi valutare: “Ma non è questa la vita? Un perenne tenersi in equilibrio tra ciò che immaginiamo e quello che invece ci si presenta davanti”.
Laura Franchi