“La vita di chi resta”: le parole salvifiche di Matteo B. Bianchi
“Home Is Where You Hang Yourself”
Ci sono situazioni definitive. Scelte definitive che cambiano il corso di una vita, anzi di più vite. Decisioni a cui difficilmente si troverà, con il tempo, una risposta.
“…la gente chiederà e io non saprò cosa dire.
Per mesi, per anni.
Per sempre.”
È il 1998 quando S. si toglie a vita e lo fa in casa del suo ex compagno Matteo, lì dove aveva vissuto per sette anni. E da quel momento in poi comincia per Matteo un viaggio nel dolore, nelle domande, nella ricerca costante di una verità sconosciuta, le cui risposte non esistono nemmeno nei migliori libri di letteratura: “Perché ignorano il dolore di chi resta?”. “Si calcola che nel mondo avvenga un suicidio ogni 40 secondi” e chi resta è definito un sopravvissuto, un survivor. Un sopravvissuto alla costante ricerca di un armistizio, perché sa che nulla può lenire quel dolore così intimo, che potrebbe condurre facilmente alla follia. Un dolore che muta il corpo e l’animo, trasformandoci nel dolore stesso, rendendoci inattaccabili “anche dalle cattiverie del mondo”.
“Mi assuefacevo alla sua mancanza evocandolo di continuo.”
Matteo B. Bianchi con “La vita di chi resta” (Mondadori, pp. 252, euro 18.50) racconta una storia accaduta vent’anni fa. Ci racconta del passato, il loro. Balzi temporali a raccontare due vite, un amore. Lo racconta a frammenti, questo passato, attraverso ricordi indelebili e altri che pian piano sfumano, fino a svanire. Si spoglia dal dolore e ce lo mostra senza vergogna o commiserazione. Ce lo mostra così come è, senza tanti giri di parole. Ce lo fa toccare, annusare, sfiorare, rendendolo vivido nella vita di tutti i giorni, nei ricordi del passato e nelle scelte che verranno.
Come si sopravvive al suicidio di una persona cara? Come si vincono i sensi di colpa? Non c’è un modo chiaro a spiegarlo ma l’unica certezza è che si sopravvive, anche solo per non recare ad altri il medesimo dolore che si sta vivendo. Una storia a pezzi che inizia facendoci entrare piano, per poi avvolgerci e illuminarci con uno spiraglio di luce inaspettato e inevitabile, forse. Grazie Matteo, queste parole, dalla prima all’ultima, sono un dono. Una salvezza.
Marianna Zito