“I monologhi della vagina”: il femminismo di Eve Ensler
Nel 1996 la femminista Eve Ensler portò su un palcoscenico di New York “I monologhi della vagina”, una serie di racconti sulla sessualità femminile tratti dalle interviste di un gruppo eterogeneo formato da più di duecento donne. Dallo spettacolo teatrale è stato tratto un omonimo libro, pubblicato da Il Saggiatore nel 2018 e curato dalla stessa autrice.
Vagina è un termine medico, eppure trent’anni fa veniva sussurrato con fastidio, oppure si prediligevano nomignoli ridicoli. Le vagine suscitavano vergogna e poche donne conoscevano il proprio corpo: non esisteva una cultura della vagina, mentre il pene spadroneggiava indisturbato. Eve Ensler ha intervistato donne diversissime tra loro sulla loro vagina: donne anziane, bambine, giovani, donne da ogni parte del mondo, donne picchiate o abusate, donne etero, lesbiche, trans, donne che hanno avuto una sorta di epifania sessuale. Anche i temi sono i più vari: le mestruazioni, la prima volta, l’orgasmo, le mutilazioni genitali femminili e molto altro ancora, oppure domande creative e irriverenti, come per esempio cosa indosserebbe la vagina di ciascuna delle intervistate. Eve Ensler ha fatto una piccola rivoluzione, portando la vagina nell’immaginario collettivo delle donne e degli uomini e a partire dallo spettacolo ha realizzato una serie di iniziative contro la violenza sulle donne, considerando l’arte politica.
La prefazione e le due introduzioni sembrano volerci avvertire che la lettura del libro non può sostituire l’esperienza a teatro, infatti il pubblico fortemente coinvolto ha avuto delle reazioni molto intense durante la rappresentazione. Sono capitoli molto narrativi, scritti con le frasi brevi e semplici dei monologhi, in cui le scrittrici parlano in prima persona; meritano di essere letti, sebbene il lettore medio sia solito saltare al primo capitolo. “A metà del monologo, c’è un grande tramestio tra il pubblico. Una giovane donna è svenuta. Interrompo lo spettacolo. Il pubblico soccorre la donna, sventolandole dell’aria e portandole dell’acqua. Si alza in piedi e dichiara quello che lo spettacolo le ha dato il coraggio di dire, per la prima volta: «Sono stata stuprata dal mio patrigno». Il pubblico la abbraccia e le sta vicino mentre lei piange. Quindi, su sua richiesta, continuo lo spettacolo.”
Sin dalle prime pagine si ha l’impressione che l’opera abbia compiuto molti compleanni e che si sia evoluta nel tempo attraverso innumerevoli rappresentazioni in giro per il mondo, ma l’autrice ancora non vuole fornire coordinate spazio temporali precise e si ha l’impressione che il libro sia rivolto a chi ha conoscenze pregresse sul femminismo, pertanto non sente la necessità di essere informato al riguardo. Tali curiosità verranno tuttavia soddisfatte al termine dell’opera. È inoltre evidente che molti monologhi siano stati inseriti nell’opera in anni a noi più prossimi, ma anche tale aspetto verrà chiarito solo nell’ultimo capitolo: “Ne ho abbastanza dello stupro./ Ne ho abbastanza dello stupro alla luce del giorno./ Ne ho abbastanza della cultura dello stupro, della mentalità da stupro./Ne ho abbastanza delle pagine di stupro su Facebook.”
Il testo è il più possibile fedele alla sceneggiatura dello spettacolo teatrale, ma sulla carta si perdono la voce, le pause e l’intonazione delle varie attrici che nel corso dei decenni hanno prestato la voce e il corpo e alle intervistate: attiviste, detenute, attrici famose, donne trans, donne qualsiasi, uomini. In alcuni casi il testo è stato radicalmente trasformato, per esempio in questo monologo i gemiti sono stati descritti a parole e non simulati con delle urla: “C’è il gemito clitorideo (un verso sommesso, che resta in bocca), quello vaginale (un suono profondo, gutturale) e il combinato clitovaginale. C’è un pregemito (l’accenno di un suono), il quasi gemito (un rumoretto volteggiante), il gemito «Sì, qui, qui» (un suono più profondo, deciso), il gemito elegante (un suono sofisticato, simile a una risata), il gemito rock (un po’ sguaiato), il gemito WASP (nessun suono), il gemito semireligioso (tipo cantilena musulmana), […]” Il lettore si domanderà anche come siano state messe in scena le enumerazioni o le successioni di frasi paratattiche: “Se la tua vagina si vestisse, che cosa indosserebbe?/Una giacca di pelle./Calze di seta./Una pelliccia di visone./Un boa rosa./Uno smoking da uomo.[…]”
La storia dei monologhi e del movimento politico cui hanno dato origine viene raccontata in un lunghissimo capitolo conclusivo. Lo stile cambia radicalmente: il linguaggio teatrale viene sostituito da quello saggistico, sebbene la semplicità resti un marchio di fabbrica in ogni pagina dell’opera. La curiosità di coloro che vorrebbero più informazioni sarà finalmente soddisfatta.
“I monologhi della vagina” sono un pilastro fondamentale dell’arte femminista degli ultimi anni pertanto ogni donna dovrebbe conoscerli, ma è fondamentale che li leggano anche gli uomini. Il fatto che la loro lettura sia scorrevole e per nulla faticosa è un’ulteriore ragione per affrontarne la lettura.
Valeria Vite