“La terra delle piogge rare” di Mary Hunter Austin
“Per tutto ciò che il deserto pretende dall’uomo, in cambio offre un compenso: respiri profondi, un sonno profondo e la comunione delle stelle”.
La Collana Intersezioni della casa editrice Nova Delphi nasce con l’intento di riunire tra loro quei testi classici e contemporanei che danno la possibilità di far riflettere “sulle intersezioni e declinazioni dei temi della pace e del rapporto con la natura all’interno della filosofia e della prassi ecofemminista”.
“La terra delle piogge rare” (2023, pp. 224, euro 15) prese vita nel 1903 dalla penna della scrittrice statunitense Mary Hunter Austin, “femminista, naturalista, mistica, studiosa delle culture delle popolazioni native”, come ne scrive Bruna Bianchi nella sua Introduzione. Il testo – tradotto per la prima volta in italiano da Teresa Bertuzzi e con la realizzazione grafica di Serena Rossi – è una raccolta di quattordici brevi scritti, un’evocazione lirica delle terre solitarie della Owens Valley e del deserto del Mojave, dove l’autrice trascorse parte della sua vita. Sono tante le storie di questi luoghi, come quelle che raccontano i cercatori d’oro, anche se “c’è da chiedersi se non sia meglio essere morsi dalla piccola vipera cornuta del deserto, che si sposta lateralmente e colpisce senza attorcigliarsi, che dalla leggenda di una miniera perduta”.
“Non esiste altro luogo che eserciti una tale presa sui sentimenti quanto questa lunga terra brunita. Le colline arcobaleno, le morbide nebbie bluastre, lo splendore luminoso della primavera hanno il potere ammaliante del loto”.
La scrittrice esalta le caratteristiche vitali di questa terra, evidenziando l’importanza del legame con la natura – femminile, materna e fertile – che, con la sua forza, direziona la vita degli individui, ne esalta l’aria pura, la “più pura che si possa respirare in tutto il creato”, speranzosa che prima o poi il mondo capirà il significato di tanta bellezza. Ma non è solo l’aria… è la luce, gli animali, i minerali e i nativi, come gli shoshone, di cui la scrittrice sostiene i diritti, dando incommensurabile valore alle loro arti, pensiamo ad esempio a Seyavi, la cestaia, che fabbricava “meraviglie di precisione tecnica, all’interno e all’esterno…”
Sono questi i luoghi con cui Mary Hunter Austin stabilirà un rapporto intimo, ascoltandone la voce e che influenzeranno il suo pensiero e la sua scrittura. È qui dove, rifugiandosi, ritroverà la sua libertà anche dai “rigidi confini di genere”, per identificarsi con la natura.
“La nostalgia di casa che prova un indiano può spesso rivelarsi mortale, perché non c’è nulla che possa alleviarla; non il vento, non l’erba, non la linea dell’orizzonte né alcun aspetto delle colline di un paese straniero sono abbastanza simili a quelli della sua terra”.
Marianna Zito