“La minaccia del cambiamento” di Silvio Valpreda
Il protagonista dell’ultimo romanzo di Silvio Valpreda “La minaccia del cambiamento” (Eris Edizioni, 2018, pp. 230, euro 13, tavole di Andrea Bruno) al tempo di Musil si sarebbe definito un “uomo senza qualità”. In realtà la sua condizione è quella della stragrande maggioranza della popolazione, ed è questo che ne fa un esemplare tipico del suo genere e della sua epoca.
Crenn, questo il suo nome, si trascina in un mondo globalizzato dove è in corso da tempo una sorta di guerra stellare contro una razza aliena minacciosa e potente. La guerra si svolge lontano dalla terra, negli spazi interstellari, ma ogni tanto il nemico riesce a mettere a segno attentati devastanti. La difesa del pianeta è affidata a eserciti privati gestiti da due grandi multinazionali e i soldati sono pagati bene, diversamente dal resto dei cittadini che risentono delle enormi spese militari. Ma Crenn non è stato accettato, ed ha ripiegato su un lavoro che almeno gli permette di indossare una divisa paramilitare: il guardiano di immobili sfitti. Egli deve impedire che questi edifici vengano occupati dai poveri senzatetto, una categoria sociale in crescita esponenziale. In questo modo si procura periodicamente cibo precotto e alloggio. Il suo maggiore rimpianto è di aver perso per sempre l’opportunità di vincere la grande lotteria Money for Life. Suo padre infatti si era ammalato, aveva perso il lavoro e smesso di pagare le quote di iscrizione alla lotteria, che era diventata il sogno proibito dell’intera vita di Crenn. Come sua madre, che vecchia e stanca continua a lavorare per pochi soldi, e come tanti altri, Crenn tira avanti cercando di sopravvivere. L’umanità si ammassa in città tutte uguali, dove il verde è scomparso e non esistono stagioni perché computer potentissimi sono in grado di controllare i fenomeni atmosferici. Come in Blade Runner, sulle facciate di ogni edificio sono installati schermi giganteschi che rimandano pubblicità accattivanti. Il passatempo preferito della gente è guardare i programmi di cucina in televisione, dove cuochi rinomati fanno a gara per inventare cibi raffinati che diventeranno i cibi precotti di ciascuno, perché è ormai impossibile acquistare alimenti freschi, di cui si è perso anche il ricordo. La gente si è rassegnata a vivere in uno stato di emergenza, che la guerra stellare ha reso permanente. Nessuno ha il coraggio di sussurrare l’atroce sospetto che il governo usi questa guerra, che nessuno vede, per mantenere la popolazione in uno stato di perenne soggezione, che ha generato nella mente – la nuova prigione del corpo, come diceva Foucault – il terrore che qualsiasi cambiamento possa alterare lo stato di cose esistenti, e generare realtà peggiori di quella attuale. Il rifiuto del cambiamento è diventato un mantra, la preghiera che si recita nella nuova Chiesa della Preghiera e della Morale. La stessa paura del nuovo ha generato costumi da età vittoriana, gli stessi che impediranno a Crenn una relazione minimamente vitale con Kahri, epitome delle ossessioni e delle paure di un mondo femminile nuovamente sottomesso e ridotto all’impotenza. Il romanzo non chiude però, alla fine, la prospettiva verso destini migliori.
Stranamente, il lavoro di Valpreda esce in concomitanza con “Le dieci leggi del potere” di Noam Chomsky. Una di queste è proprio utilizzare terrorismo, guerra, epidemie per limitare la democrazia e ottenere il consenso di chi si sente costantemente minacciato e vede nel mantenimento dello status quo l’unica protezione.
Luciano Albanese