“Certi capivano il jazz”, ed è un po’ come capire la vita
“Certi Capivano il jazz” (Annulli Editori, pp. 73 pagine, euro 8) di Raffaele Montesano, prima di diventare un libro, è stato messo in scena per la prima volta nel 2013 e da allora “ha avuto numerose repliche suscitando generosi applausi, memorabili mal di testa all’autore, ricchi premi e cotillon”. Così la quarta di copertina. E ci crediamo! La storia del protagonista, Andrea Strina, conserva in effetti la struttura del testo teatrale, con tanto di didascalie e indicazioni musicali di sottofondo. È una storia piccola, gentile, con quelle verità a cui presto o tardi arriviamo un po’ tutti. Per questo Andrea ci fa simpatia, è uno di noi.
Andrea racconta le tappe salienti della sua vita a partire dai 4 anni. Età in cui ha perso la sua “verginità delle domande”.
“La si perde nell’età in cui si impara a parlare, quando è la curiosità ad essere un’adolescente vogliosa”.
Andrea si fa la prima domanda a 4 anni quindi, mentre in ospedale con il papà e le due nonne aspetta la nascita della sorellina. E scopre da subito che la curiosità è un rischio, non sai a cosa vai incontro, a quale risposta, a quale esperienza. Ma sicuramente vai incontro a qualcosa di nuovo che in ogni caso diventa tuo, arricchendoti. Ed è con questa stessa curiosità che Andrea si approccia all’amicizia, quella con Gaetano soprattutto, al sesso, alla morte, all’amore e alla musica. Il jazz. Ad Andrea piace il jazz, lo strimpella, a un certo punto lo capisce. Ma non è un libro sul jazz né su una passione musicale. Il jazz con Montesano diventa il pretesto per raccontare il proprio modo di affrontare la vita. Diventa, a un certo punto, una bella metafora.
“Certi capivano il jazz (…) il fatto è che non capivo che senso dare alle note. Allora imitavo. (…) L’arte è un imbuto. Tu ci riversi la vita nella parte larga, lei si incanala fino all’imboccatura stretta e poi esce come un fiotto sottile ma costante. Nell’imbuto della mia arte un giorno finalmente ci ho versato tutto: Saretta, le mi due nonne, la Saint Honoré di mia madre e così via. Tutto. (…) Certi capivano il jazz. Finalmente lo capivo anch’io. Il jazz è il fiotto sottile ma costante che esce dall’imbuto della tua arte.”
Questa breve storia ha il sapore e il ritmo di un pezzo jazz. E scorre via veloce, piacevole. Fa sorridere, fa pensare che sì forse come dice il protagonista, imparare è una questione di masochismo, ma è l’esperienza che ci forma e ci trasforma in opere d’arte. Possiamo far fuoriuscire il nostro essere arte con musica, parole, pensieri, azioni. Con ciò che vogliamo. Possiamo anche solo decidere di contemplarlo. L’importante è essere curiosi, insaziabili di nuovo.
“È una persona, e per essere una persona bisogna avere un passato, bisogna avere dentro di sé tanti altri se stessi più piccoli, uno dentro l’altro come una matrioska. Il se stesso più grande divora quello più piccolo, così è all’infinito fino alla morte”.
Laura Franchi