“Billie Holiday. La vita e la voce” di Guido Santato
“Mi hanno detto che nessuno canta la parola ‘fame’, e la parola ‘amore’, come le canto io”.
La Regina del jazz: Billie Holiday. La “prima e autentica jazz singer”, un timbro particolare e inimitabile e una voce definita un vero e proprio strumento musicale. Ma cosa si nasconde dietro al sua grande successo? Cosa si nasconde dietro la vita di quella che fu la prima cantante di colore a cantare al Metropolitan?
In “Billie Holiday. La vita e la voce” (Carocci, pp. 151, euro 19), Guido Santato ricostruisce i momenti cruciali della vita di Lady Day, sovrapponendo la sua biografia all’ autobiografia ufficiale che la Holiday scrisse con il giornalista William Dufty e pubblicata nel 1956, Lady Sings the Blues, visibilmente modificata e tagliata dalla casa editrice Doubleday, per paura di ripercussioni legali e improntata su quei dettagli che tanto piacevano al pubblico e che di sicuro avrebbero incuriosito e portato una grande vendita, con conseguente cospicuo guadagno per la stessa Holiday, ma soprattutto per chi coltivava i propri interessi alle sue spalle, tra cui i suoi amati ex mariti. E questo fa Santato con questo libro, ci rende questa versione autobiografica più lucida lì dove è arrugginita, solleva la polvere lì dove la visuale è offuscata e rincastra i pezzi di un puzzle andati persi o sovrapposti in modo sbagliato. E rimette le cose al suo posto, districandosi tra tutto il materiale biografico scritto fino ad oggi e non senza mostrarci la fatica che una ragazzina, nata a Philadelphia nel 1915 da genitori poveri e giovanissimi, dovette affrontare per diventare l’icona che conosciamo oggi. Incontri sbagliati, lavori nei bordelli, violenze sessuali e razziali, carcere, alcol e tossicodipendenza. Tutto toccò quest’esistenza, resa ancora più fragile di come si già si era prospettata in partenza e tutto si ritrova nelle sue canzoni, più chiare di qualsiasi scritto e più vere di qualsiasi parola.
“So, here I am,/Very glad to be unhappy./ (…) / It’s a pleasure to be sad / (…) /
I’m so unhappy, / But oh, so glad”.
Marianna Zito