“Atti osceni, I tre processi di Oscar Wilde” al Teatro Elfo Puccini
“Vorrei tanto spalancare le braccia e urlare: Fate di me quel che volete, ma per Dio fatelo in fretta! Non vedete che sono sfinito? Se l’odio vi dà piacere, assecondatelo.”
Quando un’opera è capace di separare, nella coscienza, ciò che si è visto e immaginato fino a quel momento da quanto verrà in seguito, possiamo definirla un capolavoro. Quando il teatro mette a nudo, con faticosa onestà, i meccanismi individuali e collettivi che danno forma alla Storia, diventa un luogo di rinascita. Ecco dunque che dall’incontro di un lavoro come “Gross Indecency” del drammaturgo e regista Moisés Kaufman e un mondo artistico e umano come il Teatro dell’Elfo il risultato è grandioso. La versione italiana, diretta da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, torna ora sul palcoscenico del Teatro Elfo Puccini di Milano.
Sono scarlatte le tenebre, e all’apparenza non hanno fine i cerchi tra il fragore e il silenzio, attorno a Oscar Wilde. Dalla celebrità all’infamia, dall’applauso al linciaggio. Quella che ha inizio il 3 aprile 1895 presso il tribunale penale centrale dell’Old Bailey è una vicenda processuale che rovescia le premesse e sconvolge i rapporti: spinto a querelare il Marchese di Queensberry, Wilde si ritrova a dover far cadere le accuse nel (vano) tentativo di allontanare da sé le fauci del puritanesimo vittoriano. Il capo di imputazione è gravissimo, in una società che considera l’omosessualità – esclusivamente maschile, giacché, come sentenzia la Regina, “Le donne, queste cose, non le fanno” – la più immorale delle perversioni. Giovanni Franzoni è impeccabile nei panni del protagonista, questo cuore pulsante dell’umanità che fino all’ultimo respiro ha saputo fare “dell’arte una filosofia e della filosofia un’arte”. Intorno a lui uno splendido gruppo: Riccardo Buffonini, Ciro Masella, Nicola Stravalaci, Giuseppe Lanino, Giusto Cucchiarini, Filippo Quezel, Edoardo Chiabolotti, Ludovico D’Agostino. Attori che mettono la loro bravura di interpreti al servizio di un mosaico di voci e personaggi, dal già citato Marchese al suo fascinoso figlio Alfred, dai giornalisti che seguono il “processo del secolo” ai legali e ai testimoni chiamati a deporre davanti alla corte.
Ogni parola che viene pronunciata in scena è stata messa nero su bianco (nei verbali, nelle epistole, nelle memorie) oltre un secolo fa, eppure ogni parola è presente, attuale. Siamo presenti noi, pubblico, coinvolti dalla testa ai piedi nei tre processi: a noi sono rivolte le arringhe degli avvocati, gli interrogatori, le accuse e le difese; sediamo sugli scranni della giuria ma al contempo siamo alla sbarra, nessuno escluso, a prescindere dal vissuto personale. La vicenda di Oscar Wilde ci fa spietatamente rabbrividire nella consapevolezza che l’urlo puritano «Ammazzate quel finocchio!» echeggia, rimbomba, perché – prendendo a prestito un pugno di parole di Brecht – È ancora fecondo il grembo da cui è strisciato.
Sulla struttura della pièce ritorna lo stesso autore, Kaufman, durante l’incontro “Per un nuovo teatro epico. Da Atti osceni a The Laramie Project” che precede la replica di venerdì 10 gennaio: di fronte all’impossibilità di restituire pienamente ciò che è avvenuto, la verità può essere indagata attraverso il confronto e lo scontro tra le molteplici versioni di chi vi è coinvolto. Questo vale anche per “The Laramie Project” – la cui versione italiana debutterà a giugno 2020, sempre curata da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia – che è nato proprio dalla tenace volontà di parlare con gli abitanti di Laramie (Wyoming, U.S.A.) dopo l’assassinio di Matthew Shepard, nel 1998. “In fondo pensavo, e penso ancora, che sia bello che [grazie al successo di Atti osceni] Oscar Wilde ci abbia dato i soldi per andare a Laramie e raccogliere materiali per scrivere il nostro spettacolo su Matthew Shepard.” E forse è proprio Oscar che, nel silenzio dove risuonano più forte i passi lontani, chiude, fiammeggiando, i cerchi senza fine.
“Atti osceni. I tre processi di Oscar Wilde” è in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 9 al 26 gennaio; al Teatro Bellini di Napoli dal 28 gennaio al 2 febbraio; a La Spezia presso il Teatro Civico il 4 e il 5 febbraio, e poi al Teatro Cagnoni di Vigevano il 7 febbraio 2020.
Pier Paolo Chini