Torino: Puccini e Butterfly nel cortile dell’Arsenale
Prosegue anche la stagione estiva del Regio di Torino. Siamo sempre nel cortile di Palazzo dell’Arsenale, mentre nel teatro vero e proprio sono iniziati i lavori di restauro. Sabato scorso, il 3 luglio, è stata la volta di Madama Butterfly, che noi però abbiamo visto solo ieri, nell’aria freschissima che solo un grandioso temporale pomeridiano può assicurare. Siam partiti alle 21.20 e siamo usciti per mezzanotte meno un quarto: ritardi pandemici, temperature da misurare, moduli da compilare. L’allestimento ovviamente non è nuovo, ma data l’occasione si è optato per la versione più didascalica, facilitata, parafrasata, quella presentata già qualche anno fa in piazza San Carlo. In regia rimane Vittorio Borrelli, ma il libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa è stato riadattato (ovvero semplificato) da Vittorio Sabadin. L’elemento più audace, comunque, è sicuramente l’intervento di Yuri D’Agostino, che interpreta un Giacomo Puccini goliardico ma anche accorato. Guida d’eccezione, questo Puccini introduce l’opera raccontandone la genesi e l’evoluzione, e fra vari aneddoti (anche personali) accompagna il pubblico alla scoperta della trama e delle musiche da lui composte per esaltarla al meglio. In qualità di narratore, dunque, si lascia andare anche alle opinioni e ai sentimenti che lo legano ai suoi personaggi: detesta Pinkerton (quel turista sessuale), elogia a spron battuto Cio Cio San; riferisce anche della sua amante Corinna, della moglie Elvira, del rapporto coi librettisti, con l’editore Ricordi, con Rosina Storchio, con la città di Torino, e così via. Ora, è innegabile che un apprestamento di questo tipo limiti il concetto stesso di opera; i tagli alla trama sono evidenti, e provocano alcune assenze che snaturano il tutto: mancano lo zio di Butterfly, il principe Yamadori, e gli interventi di tutti i personaggi vengono rimodulati quando non ampiamente arginati. Per un pubblico conservatore, quindi, che magari già conosce la storia di quest’opera e del suo compositore, si tratta oggettivamente di un’occasione più prosaica che non lirica. Tuttavia, si peccherebbe di un eccessivo elitismo se non si considerassero anche altre variabili, al netto delle idee di qualunque vecchio reazionario (come per esempio colui che scrive questa recensione). Innanzitutto, il pubblico dell’estate non è quello che frequenta il cartellone canonico: le persone che per mille ragioni durante l’anno non riescono ad avvicinarsi al teatro, da giugno ad agosto sono relativamente più libere. Questo spettacolo è dedicato in parte a loro, in parte a coloro che vogliono appropinquarsi per la prima volta alla musica lirica. E, non meno importanti, ci sono i bambini. Ieri erano tanti (laddove sia chiaro: qualunque numero è più alto dell’assenza totale che impera da settembre a maggio) e molti di loro sembravano entusiasti, attenti, coinvolti. Le mamme e le nonne chiedevano se si erano annoiati, e loro scuotevano decisi la testa, perché avevano capito, avevano colto il senso di una storia che peraltro ha anche parecchi punti di contatto col genere al quale i fanciulli sono più abituati: Madama Butterfly è una favola, una favola sicuramente triste, tragica, ma narrativamente il ponte tra principessa e principe viene comunque costruito (al di là poi del fatto che il principe è un uomo deprecabile, ma forse è meglio educarli subito alla realtà, nella quale i principi non esistono e i maschi sono spesso individui quantomeno deplorevoli). Lo ha scritto anche Marco Targa nel programma di sala: […] Nell’immaginario occidentale maschile […] l’idea di esotismo aveva la facile tendenza a scivolare (in senso freudiano) in erotismo. L’esotico era il luogo dove la sessualità poteva sfuggire al controllo repressivo che il contesto sociale europeo imponeva e non stupisce trovare il binomio “exo-eros” così frequentemente confermato nella letteratura, tanto d’appendice che d’autore. Non che gli uomini si adagino poi tanto facilmente neanche sulle regole del contesto sociale di derivazione e d’appartenenza, ma questa forse è un’altra storia (che tradisce il cinismo disincantato di certi recensori, pertanto non tergiversiamo oltre sulle ingiustizie del cuore).
A livello estetico, l’allestimento è opportunatamente costruito: le scene di Claudia Boasso sono semplici ma gradevoli, soprattutto i grandi stendardi che vengono calati nel primo atto; mentre i costumi di Laura Viglione convincono per il loro realismo senza pretese (sempre nell’ottica di una versione didascalica). Impeccabili, come sempre, le luci di Andrea Anfossi.
Per la prima volta dirige l’orchestra e il coro il maestro Pier Giorgio Morandi, molto avveduto e prudente. Il cast era formato dal soprano Rebeka Lokar (Butterfly), il tenore Antonio Poli (Pinkerton), il baritono Alessio Verna (Sharpless), il mezzosoprano Sofia Koberidze (Suzuki). Sabato ci sarà l’ultima replica: sono ancora disponibili alcuni buoni posti nel secondo e terzo settore.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Andrea Macchia