Si torna sempre dove tutto ha avuto inizio: la ripartenza del Regio in grande stile
Sostenere quanto sia emozionante tornare al Teatro Regio di Torino per l’inaugurazione della nuova Stagione d’Opera e di Balletto potrebbe sembrare un cliché, ma oltrepassare la porta di ingresso assume ancora più significato dopo gli otto mesi di chiusura del teatro. Si aggiunga che il titolo scelto per inaugurare la stagione, La Bohème di Giacomo Puccini (in cartellone fino al 27 febbraio), ha visto la sua prima rappresentazione assoluta il 1 febbraio del 1896 proprio al Teatro Regio, all’epoca diretta dal ventinovenne Arturo Toscanini. L’opera in quattro quadri, con la musica di Puccini e il libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger, unisce leggerezza e disgrazia. La regia di questa produzione è di Paolo Gavazzeni e Pietro Maranghi. È un’opera ibrida: nella prima parte restituisce il clima comico e gioioso del Natale e di un nuovo amore, mentre nella seconda gira rapidamente verso la straziante tragedia che culmina con la morte di Mimì. Un’ulteriore differenza va evidenziata nelle due storie d’amore che intessono la trama: l’amore pungente e controverso tra Marcello e Musetta e quello sentimentale tra Rodolfo e Mimì. I progressivi quadri che costruiscono e indirizzano la storia ne mettono in evidenza le tappe.
Ma partiamo dall’inizio. Mi siedo in platea, le luci che costellano il cielo del Teatro cominciano ad affievolirsi, l’orchestra accorda disordinatamente gli strumenti. Silenzio. Entra il direttore d’orchestra, Pier Giorgio Morandi. Si apre il sipario. Sul palco il poeta Rodolfo interpretato dall’eccezionale tenore Valentin Dytiuk, con una voce e una resistenza da brividi . Insieme a lui sul palco i baritoni Biagio Pizzuti (nelle vesti del pittore Marcello) e Vincenzo Nizzardo (musicista Schaunard) e il basso Riccardo Fassi (nei panni del filosofo Colline). Si respira forte in sala l’atmosfera parigina e bohèmienne del testo, che Puccini ha ricavato dalla propria esperienza autobiografica negli anni scapigliati in cui condivideva una stanza a Milano con Pietro Mascagni e frequentava il circolo di amici pittori “Club La Bohème”. Un’atmosfera intessuta di spensieratezza che la musica e gli interpreti trasmettono al pubblico in modo intenso. Un clima che presto si illumina della fiamma d’amore, con l’entrata in scena di Mimì, l’amata di Rodolfo interpretata dal soprano Maritina Tampakopoulos. Bisognerà attendere il secondo quadro per assistere all’ingresso del soprano Valentina Mastrangelo nelle vesti di Musetta, l’amata di Marcello, accompagnata da Alcindoro (Matteo Peirone, che veste anche i panni di Benoît). Il suo ingresso avviene su un palco stracolmo di interpreti tutti con la mascherina, nel clima festivo e del Quartiere Latino, tra i quali il bravissimo coro di voci bianche del Teatro Regio di Torino. In questa scena corale e coloratissima, emergono tutti i dettagli e le particolarità dei bellissimi costumi, curati da Nicoletta Ceccolini. La piazza e il Caffè Momus completano l’atmosfera bohèmienne dell’opera.
L’ambientazione fredda del terzo quadro, con tanto di neve in scena, segna in modo netto il punto di svolta dell’opera e l’inizio della tragedia, fino ad arrivare al culmine tragico della morte di Mimì nell’ultimo quadro, ambientato nuovamente nella soffitta in cui è iniziata l’opera e chiudendo circolarmente la narrazione. Le tre enormi e impattanti scenografie sono state ricostruite fedelmente dal pittore scenografo Rinaldo Rinaldi sulla base dei bozzetti realizzati per la prima assoluta del 1896 e curate da Leita Fteita.
L’attenzione ai dettagli, la bravura dell’orchestra e degli interpreti e la spettacolarità delle scenografie sanciscono un inizio di stagione e un ritorno in sala in grande stile, che fanno presagire una stagione di livello eccelso, in grado di ammaliare e far innamorare il pubblico.
Giulia Basso