Puccini al Regio di Torino: la tradizione realista non tramonta
Roma, giugno 1800. Gli austriaci sono in guerra contro Napoleone. Il bonapartista Cesare Angelotti, prigioniero politico, evade da Castel Sant’Angelo e si rifugia nella basilica di Sant’Andrea della Valle. Sua sorella, la marchesa Attavanti, lo accoglie nella cappella di famiglia, dove lui trova degli abiti femminili con cui potersi travestire per proseguire la fuga. Entra in scena il pittore Mario Cavaradossi, incaricato di ritrarre una Maria Maddalena per la chiesa di Sant’Andrea, che aiuta e conforta l’Angelotti fino al sopraggiungere di Floria Tosca. Cavaradossi e Tosca sono amanti, e lui le vuole bene, ma teme che lei possa rivelare la presenza dell’Angelotti in Sant’Andrea alle autorità austriache, e così la tiene all’oscuro della questione. Ma lei ha altro di cui preoccuparsi: appena arriva, s’accorge che quella Maria Maddalena che il suo Mario sta dipingendo somiglia in maniera impressionante all’Attavanti, e s’inalbera. Effettivamente, Cavaradossi la tradisce con la marchesa. Nel frattempo, fervono i preparativi per la messa celebrativa della (presunta) vittoria degli austriaci su Bonaparte, ma il clima gioioso s’infrange per l’arrivo del barone Scarpia, il capo della polizia desideroso di riacciuffare l’Angelotti, che però intuisce la collusione di Cavaradossi e quindi intesse l’indagine manovrando Tosca. Ovviamente, la situazione s’ingarbuglierà, la trama s’infittirà. Tutto precipiterà per la fedeltà di Cavaradossi all’Angelotti, per l’ingenuità di Tosca e per la ferocia di Scarpia, ma anche per via dell’effettivo risultato della battaglia di Marengo, che vede Napoleone vincitore. Un’opera arcinota, ma anche intramontabile: una tragedia delle passioni violente, del potere e dell’inganno, dove l’eccesso dei sensi scatena un’inarrestabile corsa contro il destino, come ha scritto Valentina Crosetto.
Dopo sette anni, la Tosca di Giacomo Puccini torna a Torino: da martedì 15 ottobre fino a martedì 29 ottobre, ben dieci repliche. A quasi centoventi anni da quella prima al Costanzi di Roma, il Teatro Regio propone un allestimento nuovo, ma anche tradizionale, ordinario, rassicurante, che un po’ si allontana da quella frenesia tragica che il compositore lucchese aveva voluto instaurare fra le corde della sua opera (tanto da saltare a piè pari l’ouverture). La direzione dell’orchestra è stata affidata a Daniel Oren, ma a causa dei recenti problemi di salute del maestro le prime quattro repliche sono state dirette dal più giovane ma comunque capacissimo Lorenzo Passerini. Una performance, quella di Oren, sicuramente impeccabile, ma forse un po’ ridondante, sovraccarica, esuberante, tanto che talvolta le voci dei cantanti vengono velate dagli archi, dai fiati, dalle percussioni. A livello canoro, Tosca è stata resa in maniera più che soddisfacente: Anna Pirozzi, che l’ha interpretata decine e decine di volte, continua a donare al pubblico una voce seria, conclusa, autorevole, ferrata anche nel declamato, che però qualche volta s’affievolisce nei recuperi e nelle note basse. Molto più opachi, ma comunque apprezzabili, i personaggi maschili: Marcelo Alvarez per Cavaradossi, Ambrogio Maestri per Vitellio Scarpia, Romano Dal Zovo per Angelotti. Si avvertiva, poi, la fatica di Roberto Abbondanza nei panni del sacrestano di Sant’Andrea. Molto gradito il contributo del coro, diretto da un Andrea Secchi versatile, elastico.
Per quanto riguarda la regia, affidata a Mario Pontiggia, tutto si può dire – anche che è stato bravo – ma di sicuro questa sontuosa bravura deve essere circoscritta all’impianto tradizionale che ha scelto di erigere attorno alla trama. Invece, la scenografia di Francesco Zito è forse il punto più critico: anch’essa aderisce, com’è logico, all’assetto classicheggiante voluto da Pontiggia, e fin qui nulla di male. I tre luoghi della trama – la basilica di Sant’Andrea, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo – vengono ricreati sulla base di un realismo storico che tutto può tranne che essere sorprendente. Però nessuno ha riflettuto su un problema di ordine pratico, valido per i primi due atti: scene concave, al Regio, sono pressoché improponibili, perché il pubblico è racchiuso in un ovale molto più ampio del palco stesso, e quindi chi è a destra non vede tutta la parte destra della scenografia, mentre chi è seduto a sinistra si perde tutta la parte di sinistra. E se Carlo Mollino ha progettato il teatro in un certo modo, non si può venir meno alle regole che impone la struttura del luogo. Zito comunque recupera con i costumi: tre cambi d’abito per una Tosca che rifulge di un’innegabile eleganza, anch’essa chiaramente di stampo realista. Ottimo, infine, il gioco di luci e ombre di Bruno Ciulli.
Nonostante tutto, comunque, il pubblico ha omaggiato lo spettacolo con non meno di dieci minuti d’applausi. E quindi, se agli spettatori è piaciuto, in fin dei conti bisogna parlare di una messinscena riuscita.
Davide Maria Azzarello