Riccardo Muti torna al Regio con il “Don Giovanni”
Mi trovo qui, davanti al computer, a cercare le parole per raccontarvi del Don Giovanni di Riccardo Muti in scena al Teatro Regio di Torino dal 18 al 26 novembre, e mi scopro in difficoltà nel cercare di descrivervi i brividi e le travolgenti emozioni che ho vissuto sulla mia pelle e sulla rima degli occhi durante la straordinaria Première a cui ho assistito lo scorso venerdì sera. Entrata in Teatro sono stata investita dal clima di frenesia che ha serpeggiato tra l’elegante pubblico prima dell’inizio (che è una costante nelle Première al Regio, tanto più quando si tratta del primo appuntamento in teatro dopo la pausa estiva, tanto più se a dirigere l’orchestra è il Maestro Muti). Ma è stato quando il Maestro ha sollevato le mani dal leggio e dato il via ai due grandi accordi iniziali che aprono la celeberrima opera di Wolfgang Amadeus Mozart, che la vera potenza della musica ha travolto il pubblico (e me) impedendomi di trattenere il sottile velo di lacrime che mi ha imperlato gli occhi. L’overture è per sua stessa natura destinata a colpire il cuore degli ascoltatori, per la straordinaria capacità di raccontare l’opera nella sua interezza in soli sei minuti, e Muti è riuscito a “far sentire quasi fisicamente all’ascoltatore tutti i brividi dell’Eterno” a tutti i presenti al Teatro Regio.
Il dramma giocoso in due atti che ha raggiunto una vetta ineguagliata nella storia dell’Opera lirica, con il libretto ricco di buffe, travestimenti, inganni e motti di spirito nel migliore stile di Lorenzo Da Ponte, porta in scena in questa veste il tema del desiderio infinito, ma pregno di sfaccettature dai colori scuri e amari. La direzione di Muti mette in chiara evidenza la doppia anima di quest’opera, in cui la violenta tensione drammatica si incastra con i tratti dell’opera buffa, passando da momenti di leggerezza e divertimento, a potenti risvolti demoniaci e suggestioni melodiche, restituendo a piene mani la vera essenza della musica di Mozart. L’immortalità dell’opera legata allo scontro tra forze e pulsioni elementari con i propri opposti, viene magistralmente ricordata anche dalla stupefacente regia di Chiara Muti, che mette in evidenza il netto contrasto tra lo spirito vitale e la morte. I chiaroscuri sono messi in primo piano sin dall’apertura del sipario, quando ci si trova davanti l’imponente facciata di un palazzo nobiliare in rovina, riversa a terra e fumante, dai toni neri e biancastri, che con lo sfruttamento del palco rotante permette la moltiplicazione della scena, ad opera di Alessandro Camera. La regia gioca molto con l’utilizzo di queste totalità grigie, spezzate solo dai vestiti appena colorati indossati unicamente dalle donne, da Don Giovanni con il proprio mantello e dal fondale che si tinge di stati d’animo, accompagnate dall’utilizzo di potenti fasci di luce che amplificano l’impatto scenico nei momenti eclatanti della narrazione, come nella scena della morte di Don Giovanni o, ancora prima, nella scena al cimitero quando giunge inattesa la risposta del Commendatore.
Si tratta di una regia che sente forte l’influenza di grandi classici della letteratura europea, a partire dalla citazione pasoliniana, con i costumi tardo settecenteschi di Tommaso Lagattolla, che calano dall’alto all’entrata in scena dei cantanti e che ricordano gli attori di “Che cosa sono le nuvole?”, appesi a fili, metafore della condizione umana e del destino. Ma questa scelta registica di far vestire e alla fine svestire i personaggi in scena rimanda ai personaggi della Commedia dell’Arte e a Molière,al contempo sottolineando la differenza di piani tra i coprotagonisti , quasi caricature, e Don Giovanni (Luca Micheletti), che sfugge alla macchina teatrale, emblema dello spirito vitale, della passione e del libertinaggio impertinente a cui solo l’incarnazione della morte, dell’autorità morale offesa, può opporsi e porre un freno. Anche la musica ricalca questa netta distinzione e questa caratterizzazione dei personaggi, contrapposta alla multiformità delle anime musicali su cui il protagonista si muove. Quello di Chiara Muti è un intenso omaggio al mondo del teatro che qui attira forte l’attenzione su di sé, al pari della musica. Citazione anche al mondo del mito e della letteratura nella scena finale quando, al momento della morte di Don Giovanni, vendicatrici Erinni invadono la scena sovrastata da un enorme specchio in cui il protagonista è costretto a osservarsi e osservare la propria anima che alla fine si frange, come se fosse il ritratto dell’altro Don Giovanni di fine Ottocento immaginato da Wilde, liberando tutte le colpe di cui si è macchiato.
Giulia Basso
Fotografia di Andrea Macchia