“Abitare la battaglia – Conseguenze del Macbeth” al Teatro Vascello di Roma
“Abitare la battaglia – Conseguenze del Macbeth“ è uno spettacolo di Pierpaolo Sepe con Federico Antonello, Marco Celli, Paolo Faroni, Noemi Francesca, Alessandro Ienzi, Biagio Musella e Vincenzo Paolicelli.
Il Tiranno, giunto al potere spinto da quella bramosia di regno che lo ha portato ad assassinare dapprima Duncan e a far uccidere in seguito Banquo e la famiglia di MacDuff, è morto.
Il regno è vacante.
Il territorio deserto.
Questo lo scenario a partire dal quale si sviluppa questa messa in scena fisica, di corpi seminudi, di uomini privati della loro umanità e con una Lady sola, circondata da bestie pronta a sbranarla, violentarla, abusarla. Tutto lo spettacolo, a partire dall’entrata in scena degli attori che, sedutisi in proscenio, osservano, quasi rabbiosi e di certo provati nel loro scenario post apocalittico, coloro i quali sono venuti a verificare quanto è rimasto dopo la morte di Macbeth, è una scarica di adrenalina, un aggrapparsi alla propria carnalità, ai propri istinti, alle proprie viscere e ai propri lombi, quando tutt’intorno sono rimasti solo pochi segni esteriori del comando. Una testa d’orso, una corona e una donna che come gli altri due oggetti è contesa, spersonalizzata, usata, ambita come ulteriore strumento di dominio. Essa (la brava Noemi Francesca) viene stuprata, derisa, ridicolizzata, umiliata. È un contrappasso rispetto alla figura di quella Lady che, nell’opera del Bardo, è l’eminenza grigia che sobilla un uomo che passa dall’essere un valoroso e leale guerriero al più infame dei regicidi? È forse una vendetta da parte di chi resta o solo un amaro quanto efficace richiamo a una realtà tristemente nota di una cultura maschilista che da sempre presenta, tre le altre mille cose, questi caratteri di misoginia? Violento, concreto, quasi muto, se non per pochi fonemi dal testo originale di Shakespeare, e tanto semplice quanto impattante nella sua costruzione visiva.
Uno spettacolo che beneficia dei movimenti di scena di Valia La Rocca, costruiti per trovare ordine anche nel caos e soprattutto nel caos, quando il nulla può inghiottire chi rimane e quando occorre sviluppare un piano, per tentare di non farsi sopraffare dalle conseguenze del niente che è rimasto. Non a caso l’unica porzione abbondante di testo che viene restituita allo spettatore è quella del celeberrimo monologo “Domani, e domani, e domani” che il bravo Marco Celli, momentaneamente dotato di copricapo regale nell’occasione, ci offre, anche questo nella lingua originale, in una chiave distorta, malata, inquietante. Un monologo che sottolinea ed esalta la caducità dell’esistenza e che quindi diventa timbro perfetto di questo lavoro, forte nella sua consapevolezza che quel che poco che è restato è già tutto e non manca di niente rispetto a quanto esisteva prima.
Andato in scena presso il Teatro Vascello di Roma dal 27 al 31 marzo 2019.
Giuseppe Menzo