“L’AMMORE NUN’ È AMMORE” – LINO MUSELLA AL PICCOLO ELISEO
Forse il nostro compito più grande è tramandare quello che gli altri ci lasciano, soprattutto quando questi “altri” non ci sono più, soprattutto quando questi “altri” noi li amavamo e siamo certi che quello che in vita hanno creato nasconda qualcosa di straordinaria e inimitabile bellezza. E allora diventa, per noi, un dovere serbarne in qualche modo la memoria. Ed è quello che sta succedendo in queste sere al Piccolo Eliseo di Roma dove la bravura eccezionale di Lino Musella – accompagnato dai cordofoni e le percussioni di Marco Vidino e dal gioco di luci di Hossein Taheri – regala al pubblico “L’AMMORE NUN’ È AMMORE”, 30 sonetti di Shakespeare tradotti e “traditi” in lingua napoletana dal suo caro amico Dario Iacobelli.
A riguardo, la significativa spiegazione di Valerij Brjusov “Scomporre la viola nel crogiolo nei suoi elementi fondamentali e poi da questi elementi creare di nuovo la viola: ecco il compito di chi ha pensato di tradurre poesia. Il mistero di quell’impressione che produce l’opera poetica non è solo nelle idee, nei sentimenti, nelle immagini, ma prima di tutto nel linguaggio: proprio per questo chiamiamo l’opera in questione creazione poetica…”. Tradotte, tradite e tramandate, allo stesso modo, Jacobelli si appropria delle parole del bardo, senza cancellarne i tratti specifici, ma creando un arricchimento armonico, un equilibrio romantico, istintivo e spontaneo.
E Lino Musella intraprende questo coraggioso atto di tradurre, tradire e tramandare; parlando al pubblico e tra il pubblico. Dal palcoscenico decanta, tra diversi travestimenti e i più svariati oggetti, per poi diventare uno tra la gente, creando un’empatia forte ora con il tocco delle mani ora sussurrando sonetti segreti. La sua voce è una eco elegante che ammalia, paralizza e diverte, in quella sua lingua madre napoletana, non a tutti comprensibile, ma sempre piena di pathos e di eterna musica.
Marianna Zito