“La cronologia dell’acqua”, la vita di Lidia Yuknavitch
“Nell’acqua, come nei libri – puoi abbandonare la tua vita.”
Lidia Yuknavitch ci immerge nelle parole, facendoci attraversare la sua vita “nuotando a ritroso nel passato” con salti temporali, a creare tanti racconti di momenti significativi. “La cronologia dell’acqua” (edizioni nottetempo, pp. 336, euro 17, traduzione di Alessandra Castellazzi) è il risultato di relazioni, incidenti e sogni di bambina; e ancora “orgasmo di rabbia”, autodistruzioni e illusioni.
“Avevo pensato di cominciare questo libro raccontando la mia infanzia, l’inizio della mia vita. Ma è così che ricordo. Ricordo attraverso lampi sulla retina, disordinati. La vita non segue alcun ordine. Gli avvenimenti non rispondono al rapporto di causa ed effetto come vorremmo. È una serie di frammenti e ripetizioni e trame. Questo condividono il linguaggio e l’acqua. Tutti gli eventi della mia vita si intrecciano nuotando. Senza cronologia”. E giù tanti ricordi. Dalla morte della prima figlia neonata, agli abusi paterni, una madre “alcolista maniaco-depressiva con tendenze suicide e zoppa”, la passione per il nuoto e per la letteratura, l’alcol e la droga, la depressione, amori folli etero e profonde relazioni omosessuali. E qui ecco che il linguaggio diventa “metafora dell’esperienza”, un’esperienza di dolore da incanalare nella restante e meravigliosa vita.
Lidia Yuknavitch scrive nuotando nelle parole, piazzandole lì l’una dopo l’altro, creando orgasmi continui e flussi di coscienza letterari, a richiamare artisti e scrittori, mi viene qui facilmente in mente Susan Sontag che abbiamo letto sempre grazie alle edizioni nottetempo. E per scrivere la Yuknavitch si serve di quella parola che, in un modo o in un altro, l’ha sempre salvata. Acqua. Parola poliedrica. Correlata ad altre e attraverso le quali assume le accezioni più svariate, in grado di condurci in molteplici contesti, periodi e campi della vita umana, in cui essa si insinua incessantemente e irrimediabilmente, a simboleggiare i due antipodi per eccellenza e, paradossalmente, legati tra loro: la vita e la morte. È vita. Infatti è proprio l’acqua il principio di molte cosmogonie antiche, l’arché di tutte le cose esistenti, un mare su cui galleggia la terra come un’isola, sormontata da un cielo di acqua che ritorna sulla terra sotto forma di pioggia. È acqua, inoltre, il liquido amniotico in cui appare e si sviluppa l’embrione che poi diventerà un bambino. È morte. Infatti, la più grande distruzione di cui si ha memoria avviene per acqua, il Diluvio Universale, una punizione divina ricorrente in molte culture. È una transizione, un passaggio tra la vita e la morte, un confine, sia nella mitologia greca sia in Dante, attraverso l’Acheronte, il fiume che trasporta le anime dalla vita terrena agli inferi.
È, al contempo, principio, divenire e fine, e tutto questo la Yuknavitch lo sa bene. Tante sono le cose che possiamo fare. Tante sono le cose che possiamo imparare a fare. Tante sono le cose che non sapevamo di poter fare. Acqua che genera vita, che accoglie la morte. E nel mezzo ancora acqua. Un continuo divenire.
Marianna Zito