Kounellis a Venezia: la prima mostra dalla scomparsa del pittore
Nel 2017 è scomparso uno degli artisti più intriganti e celebrati del nostro tempo. Jannis Kounellis era nato al Pireo nel 1936. Rifiutato all’accademia di Atene, si trasferì a Roma, e già nel 1960 iniziò a esporre nella famosa Galleria La Tartaruga del rione Campo Marzio, che era attiva da appena sei anni. Dopo poco, si sa, aderisce alla brigata di Germano Celant. E da lì decolla verso la fama: collabora con Fabio Sargentini, porta quei dodici poveri cavali alla Biennale del ’72, produce tante opere azzeccatissime e le espone ovunque in Italia e nel mondo. Due anni fa, poi, è venuto a mancare in quella Roma che lo aveva adottato. Ci sarebbe moltissimo da dire su questo personaggio, troppo per riassumerlo in poche righe. Giusto per citare qualcosa en passant: fenomenale la tela col pappagallo vivo (che andava ben oltre la lattuga cementizia di Anselmo), angosciante la serie infinita delle porte bloccate, unico e sbalorditivo l’uso del fuoco laddove uno il fuoco proprio non se lo aspetta. Molte sono anche le opinioni sul suo ruolo mediatico: se in generale viene considerato come una straordinaria figura la cui ricerca risulterà fondamentale per gli artisti del domani, talvolta emerge anche qualcuno che dubita della sua rilevanza in termini di ricezione da parte del pubblico (interessante, in questo senso, l’intervista di Arianna Testino a Vittorio Sgarbi per Artribune del 1° marzo 2017). Europeista, socialista, anti-globalista, pop-poverista-performativo ma anche intellettuale, sensoriale e solenne; Kounellis merita sicuramente di essere conosciuto e studiato, nonostante le eventuali tracce di carrierismo che adombrano la figura senza però sminuirne i contenuti.
La Fondazione Prada propone un’ampia retrospettiva dell’opera di Kounellis sovrapposta ai tempi della Biennale d’Arte – inaugurata quindi l’11 maggio e visitabile fino al 24 novembre. Curata da Celant, si tratta della prima personale dal 2017. La rassegna, sviluppata con la collaborazione dell’Archivio Kounellis, riunisce più di sessanta lavori che coprono un arco temporale molto ampio: dal 1959 al 2015. Moltissime opere sono state prestate da collezioni private, poche arrivano dai musei, alcune sono di proprietà della Fondazione stessa. La mostra è stata allestita a Ca’ Corner della Regina (nel sestiere Santa Croce), acquistata nel 2011 direttamente dal comune di Venezia per quaranta milioni, una cifra che l’allora sindaco Giorgio Orsoni dichiarò utilissima per far quadrare il bilancio di una città piena di problemi. Per l’occasione, le opere sono state disposte al primo e al secondo piano del prezioso palazzo settecentesco, e probabilmente si tratta anche dell’ultima esposizione che può seguire questo assetto: secondo alcune indiscrezioni riportate da varie testate giornalistiche, Miuccia e il marito vorrebbero ristrutturare il secondo e/o il terzo piano per abitarci durante le loro visite alla laguna (per approfondire l’argomento, si veda per esempio l’articolo di Manlio Lilli per la sezione Cultura de Il Fatto Quotidiano, intitolato Un appartamento nel museo e datato 18 gennaio 2016). A prescindere da tutto, la mostra è oggettivamente affascinante, soprattutto per chi magari non ha mai avuto l’occasione di entrare in contatto con l’arte di Kounellis, che va vista ascoltata odorata affrontata subita e non studiata sui cataloghi o sui saggi critici, che possono essere utili solo in un secondo momento. Al piano terra, nella corte interna del palazzo, s’incontra una grande struttura di ferro con tanti sacchi di caffè; una plurima bilancia monca e asimmetrica che già indirizza lo sguardo dello spettatore verso i contenuti che la curatela ha scelto di premiare e raccontare: quelli, cioè, che indagano le relazioni tra l’organico e l’inorganico, tra la leggerezza e la pesantezza, tra la vitalità dell’essere e la stasi del non essere, tra natura e cultura, con un carattere che oscilla dal classico al radicale, come si legge nel comunicato stampa. La ricerca di Kounellis si è, com’è logico, evoluta attraverso gli anni; eppure a Ca’ Corner si analizza anche come l’estetica kounelliana abbia vibrato sempre della stessa luce dall’inizio alla fine della sua esperienza di vita. E questo atteggiamento, che per altri artisti si è rivelato nefasto, per lui si è risolto in una cesellata veste di coerenza e riconoscibilità. Tantissimi i dipinti – Kounellis si definiva pittore – che s’impongono nella memoria di chi li affronta: Tragedia civile del ’75, una parete in foglia d’oro con un attaccapanni, una bombetta e un cappotto; la serie (datata 1987) dei letti di ferro dove l’artista incastrò colonne di lana, giornali, juta, legno, pietre e addirittura fiori; la lastra di ferro dalla quale escono dei veri capelli intrecciati. E poi ancora le opere con dei musicisti veri che suonano frammenti di Mozart, tutte le installazioni che prevedono l’uso del fuoco e così via.
Completa la mostra un apparato di documentazione (film, cataloghi, manifesti, foto, interviste eccetera) esposta al piano terra e in quello ammezzato tra primo e secondo. Peraltro, se abbiamo problemi a percepire il senso di un’opera, i guardasala sono addestrati per guidarci lungo il percorso di un’esegesi basica e oggettiva ma slanciata verso l’interpretazione personale. Infine, il catalogo – progettato dallo studio 2×4 di New York e pubblicato dalla Fondazione – illustra e spiega non tanto la mostra, quanto il percorso biografico e professionale dell’artista: non si tratta quindi di un volume specifico ma di uno ragionato dove si ritrovano, nel mucchio, anche le opere esposte a Ca’ Corner.
Davide Maria Azzarello
Opera: “Senza titolo”, 1971, pittura a olio su tela sedia e violoncellista con violoncello suonato