Oltre il primo segno, “FUORI VISIONI 5” – Festival di arte contemporanea
Che facce sono quelle dietro i vetri delle finestre che gente è quella che si è adunata dietro il vetro della finestra perché la gente si ferma quando vede qualcosa che non conosce quando sembra accadere qualcosa nonconoscere e accadere è per essa reale. (Helmut Heissenbüttel*)
Da alcuni anni, nel cuore di Piacenza, accade qualcosa di molto speciale: luoghi del centro storico diventano, all’improvviso, terre sconosciute. “FUORI VISIONI – Festival di arte contemporanea“, con la direzione artistica di Shiaron Carolina Moncaleano, trasforma di volta in volta piazze, portici, edifici in quelle che, parafrasando il pioniere della ricerca-azione (Kurt Lewin), non esiteremmo a chiamare vaste regioni di avvenimenti fuori dal comune. L’edizione 2019, la quinta, si è svolta negli spazi della ex chiesa di Santa Maria della Pace oggi Teatro Manicomics, dal 4 al 6 ottobre.
Punto di partenza – quasi un lievito, sia di interrogativi sia di risposte – è l’idea di trauma, nelle sue molteplici forme e sostanze. Esplorazioni che non si esauriscono in un linguaggio pre-codificato né in una definizione rigida. La parola viene lasciata socchiusa, il cerchio si fa spirale: il trauma è inteson“come primo segno di una rottura, come strappo che produce cambiamento”. Sono parole di Mariangela Vitale, che insieme a Luka Moncaleano firma la curatela, supportati dal team composto da Carlotta Biffi, Anna Crepaldi, Mariangela Berardi.
Le opere, collocate nei diversi ambienti (dei quali all’ingresso veniva fornita una piantina) divampavano, nel senso più ampio del termine, alla vista e all’udito. Dall’incendio proiettato da Carlos Campos all’enigmatica installazione sonora di Friedrich Andreoni, dalla clausura in cui splendeva una radiografia con inserti colorati (Zhang Jing) alle tempeste scultoree di Maria Assunta Karini, chi osservava era di volta in volta sollecitato a una “messa a fuoco”, individuale e collettiva, nonché a prendere consapevolezza della propria posizione rispetto a quanto stava accadendo davanti e intorno a sé. Una presa di consapevolezza che è stata ulteriormente indagata, nell’incessante piegare l’interno all’esterno e viceversa, anche nei talk, nelle performance e nei laboratori che si sono svolti nel chiostro e nella sala adiacente durante le tre giornate.
In particolare la sezione performativa è stata frutto di un lungo lavoro di preparazione svolto da Luka Moncaleano assieme alle attrici-performer Rebecca Sola e Francesca Angona. Ai momenti da loro creati, intensi anche nella particolare interazione con il pubblico (significativa l’apertura del Festival, sconfinando con l’azione nel tranquillo pomeriggio di una piazza Duomo sorpresa), si sono intrecciati gli interventi di Liliana Palumbo e il teatro danza di Gaia Guastamacchia.
All’interno della chiesa cinquecentesca, oltre alle opere in corrispondenza delle nicchie e del tabernacolo (Alice Biazzi, Sandy Kurt e Michele D’Agostino), hanno trovato spazio e respiro due installazioni di notevole impatto. La prima, di Carmine Sabbatella, si componeva di tredici cappi metallici, di cui uno triangolare, disposti su un palco (o patibolo) in modo tale da richiamare alla memoria il cenacolo vinciano. Al centro, invece, uno scrigno fatto di luce e di musica, di barriere che proteggono e che al tempo stesso costringono, di ombre che possono diventare danza; un’opera difficile o forse impossibile da definire, anticipazione ed insieme residuo scenico della performance di Maria Susca, frutto del lavoro del Collettivo composto dalle esperienze pugliesi di Con.divisione e Fòcare, cui si è aggiunto proprio nei giorni di Fuori Visioni l’apporto musicale dell’argentino Pol Nada.
* H. Heissenbüttel, “Dibattito del mercoledì” in “Testi 1,2,3” edizione Giulio Einaudi 1968.
Pier Paolo Chini