“Kalimero” – Noi. Una linea rossa. L’Altro
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“Un lavoratore straniero? Che cos’è?”
Ostudios Teatro è una giovane Compagnia che, dedicandosi alla rielaborazione di testi con sfondo sociale, cerca di mostrare l’umano scavando nella sua più cruda profondità.
Il testo individuato per questo loro nuovo “Kalimero (Noi. Una linea rossa. L’Altro)” è “Katzelmacher” di Rainer Werner Fassbinder, che verso la fine degli anni sessanta del secolo scorso, due anni dopo aver debuttato a teatro, venne portato su pellicola dal regista tedesco. Nell’opera teatrale originale, il termine Katzelmacher compare una sola volta per indicare Jorgos, lavoratore immigrato greco inizialmente scambiato per un italiano. Al di là del fraintendimento iniziale, questa parola (letteralmente: fabbricante di gattini) è un’espressione aggressiva e xenofoba che individua tutti i lavoratori immigrati, dimostrando una non troppo velata invidia per la loro presunta superiorità sessuale.
In “Kalimero” – andato in scena al Teatro della Contraddizione di Milano – la tranquilla e annoiata realtà provinciale di un imprecisato paesino in Germania viene improvvisamente turbata dall’arrivo di un lavoratore straniero. “Greco dalla Grecia”. Il nuovo arrivato sconvolge questa “pace” fatta di rapporti superficiali, aridi dialoghi e sostanziale noia di vivere. Lo straniero viene subito individuato come una minaccia dagli altri uomini che invidiano, letteralmente, le dimensioni del suo sesso, mentre per lo stesso motivo l’uomo suscita curiosità e interesse da parte delle donne del paese. Il flirt tra una di loro e il “greco dalla Grecia” scatenerà il finimondo, con gli uomini che con violenza riporteranno l’ordine iniziale.
Tutto ciò premesso, quello che lo spettatore si dovrebbe domandare è “quante linee rosse esistono, chi le ha tracciate, sono complice anch’io, da che parte della linea rossa mi trovo in questo momento?” Lo spettacolo mostra con crudezza quanta aridità, meschinità, voglia di prevaricazione ci sia in una società alla costante ricerca di un “Altro” su cui riversare le proprie frustrazioni e prevaricare liberamente. In questo sta, indubitalmente, l’attualità di un testo valido allora come oggi. Il lavoro, frutto di una costante evoluzione probabilmente in corso e quindi suscettibile di cambiamenti, ha un ritmo elettrico, cadenzato, ticchettante, volutamente sopra le righe, con diverse scelte registiche interessanti che lasciano comunque ancora spazio a potenzialità, dal punto di vista drammaturgico, anche superiori.
Gli attori di Ostudios Teatro (Giada Bonanomi, Francesco Cundò, Riccardo Dell’Orfano, Camilla Lamorte, Elisa Munforte) riescono a interpretare al meglio l’ “essere stranieri a sé stessi” dei personaggi e la fraintesa tendenza, così contemporanea, a intendere la relazione con gli altri in senso fondamentalmente, ed esclusivamente, strumentale e utilitaristico. I personaggi, si muovono, si dimenano, lottano mentre la musica cerca inutilmente di colmare il grande vuoto del mondo chiuso in cui si sono autosegregati. Finché, alla fine, la serratura gira.
No way out.
A.B.