“Ritmi di veglia” – La grazia di Raffaella D’Elia
Roma, una terrazza. Una mattina di settembre. La vita di Ida è lì ferma, mentre tutto il resto le vortica intorno. Girano persino i ricordi, distratti solo dalle forme di concretezza, dai meccanismi ridondanti delle necessità, lì dove la leggerezza di un passé lascia spazio alla gravezza dei passi veri, fino a distruggere l’identità, fino a toccare il niente con le dita e risalire, per rientrare a ritrovare se stessi, per perdersi e tornare migliori di prima. E intorno i corpi vuoti, vigoressìa fine a se stessa, lontani da questo tepore di grazia incompresa. È la sua stessa voce a spaventarla quando, oltre sé, si avvicina al mondo concreto e lo affronta con una maschera di finzione, nel soccombere alle sue fragilità.
“Nevica disagio, e lei, sotto, a non saperlo evitare”
E poi il tempo. Quello passato, a disseminare mucchi di panni accatastati, conflitti ossessivi incompresi. Ritmi di veglia, vicini e comunque distanti dalla realtà, inerpicati nel sonno, salvati solo dalla scrittura, a tenere in vita la realtà rubata ai morti, “riconsegnata sotto forma di visioni altrui”. Lo stupore arriva in aiuto al dolore, a soppesare le cose, a lenire disappunto e impotenza di fronte al destino. Chi siamo e come ci presentiamo al mondo? Attraverso riti preesistenti, etichettati, in sequenze. Perdiamo l’incanto di bambino, cercando inesorabilmente quel volto di madre che torna e ritorna sempre.
In “Ritmi di veglia” (Exòrma, 2019, pp. 111, euro 13) Raffaella D’Elia mantiene costante una scrittura soave, scandita, poetica. Delinea passaggi di vita complicati ma essenziali, indispensabili alla comprensione della voce dell’anima. Ogni pagina è intrisa di quella grata malinconia che ci allontana dal quotidiano, dal processo già stabilito, dal già sentito e già detto, per portarci con danza e poesia verso una fiamma di luce, abituandoci a conoscere noi stessi in quell’unicità cristallizzata che ci appartiene.
Marianna Zito