“Il costruttore Solness” con Umberto Orsini al Teatro Eliseo di Roma
“Gli uomini non hanno bisogno di case. La sola cosa che possa dare loro felicità sono i castelli in aria”
Ci troviamo subito davanti l’animo di Solness. Tetro, buio, claustrofobico. Il peso del passato comprime ogni avvenimento del presente, così come la scenografia stessa, snodandosi e incastrandosi in moduli differenti, arriva fino a quasi soffocare tutti i personaggi, fino a lasciarli senza fiato, per poi ritornare a come era prima, senza cambiare nulla. È Alessandro Serra che dirige, compone e scompone, illuminando finemente e a tratti questo unico quadro, che al suo interno ne racchiude altri mille, con “Il costruttore Solness” di Ibsen al Teatro Eliseo di Roma fino al 22 marzo con Umberto Orsini, Lucia Lavia, Renata Palminiello, Pietro Micci, Chiara Degani, Salvo Drago e Flavio Bonacci.
L’interpretazione di Umberto Orsini nei panni del costruttore Solness, si innalza su una pacata naturalezza quasi a creare un teso equilibrio tra ciò che è accaduto e ciò che avverrà: un uomo che continua a costruire sull’infelicità e la miseria degli altri, soprattutto di sua moglie Aline, interpretata da una puntuale e leggera Renata Palminiello e sui desideri di Kaja (Chiara Degani), la contabile, il cui ticchettare delle dita sulla macchina da scrivere è il rumore che dà il ritmo iniziale a questo lavoro. Apparentemente arrendevole e inquieto, il suo animo è ascoltato dal dottor Herald (Pietro Micci), anche se Solness ha, dentro di sé, ben chiaro il suo obiettivo e la sua mancata remissività a cedere il potere ai giovani è smossa dalla briosità di Hilde (Lucia Lavia), che ripiomberà dopo dieci anni nella sua vita, per riscattare il suo regno, con ricordi e promesse; e comincerà a farlo vacillare, convincendolo innanzitutto ad assegnare finalmente un incarico all’architetto Ragnar (Salvo Drago) frustrato dalla situazione instabile e dalla malattia del padre (Flavio Bonacci).
L’inizio di una discesa che lo porterà a fare i conti con se stesso e con le sue vertigini, con i suoi castelli in aria, a toccare il cielo per poi cadere inesorabilmente.
Marianna Zito