“UN CUORE DI VETRO IN INVERNO” – INCANTO E MERAVIGLIA
All’abbassarsi delle luci in sala ci aspettavamo di vedere il sipario aprirsi e trovare sulla scena un cavaliere nella sua luccicante armatura, bagliori di battaglia sull’elmo e sugli scudi, rumori di guerra e ansimare di draghi leggendari agonizzanti nel grido di vittoria degli eserciti, brandelli di lotta, sangue, feriti, sudore e invece, da una piega del sipario ancora chiuso, ecco spuntare un uomo, vestito da sposa che intona un canto, che prima ancora di viverla (o dopo averla vissuta) racconta una storia, la sua, la nostra, la storia del mondo. Poi la scena si apre in un “ooohh” di meraviglia e risuona la voce del ricordo, lontano ormai nel tempo, lo sbarco sulla luna “Huston abbiamo un problema… il piccolo passo per un uomo ma grande per l’umanità…” e poi indietro per migliaia di anni, l’umanità degli albori, di una madonna ai limiti del blasfemo che colpisce il suo ventre generato dal Santo Spirito con pugni violenti e decisi sino a uccidere il figlio di dio o per rappresentare forse la metafora biblica del partorire con dolore. Infine, il cavaliere, bello e fragile con le sue paure, il cavaliere e la sua corte, l’uomo e le sue periferie, il giullare, lo scudiero, la cortigiana, la puttana: ognuno con i suoi sogni ancora da vivere o già accantonati in una misericordiosa malinconia. E su tutto è l’uomo che ha il sopravvento, l’umano desideroso di uccidere le sue paure, pur con il cuore fragile, di vetro sotto la neve, tremante al pensiero del domani, piccolo e disarmato di fronte al muggito di fuoco di un drago cieco e feroce: è una lotta impari dove il cavaliere perde le forze, la corazza e forse la vita, ma si ritrova spoglio dal terrore ancestrale, con non più l’anima ai confini dell’abisso, ma ricca di futuro e capace finalmente di guardare la vita e affrontare i domani.
Filippo Timi qui si supera e ci incanta, così come bravi oltre misura i suoi compagni d’avventura:. dalla prostituta, felliniana nella lingua e nella desolata allegria; dal giullare, antico e tenero Pennywhite, i cui sogni sono rimasti impigliati nei palloncini colorati che si porta dietro e che diventano plumbei, nella rassegnata e composta tranquillità senile; dalla deliziosa cortigiana all’angelo fragile di una santificata Marilyn Monroe; fino allo scudiero dall’idioma partenopeo diffidente in tutto ma sensibile all’amore.
Si chiude la scena dopo un’ora e un quarto di incanti per riaprirsi con luci da discoteca e musiche dei giorni nostri e nel bianco abbacinante dei vestiti nuziali, nella grazia meravigliosa del moonwalh, nel fragore dell’applauso del pubblico in sala, capiamo finalmente cosa significa far teatro. Il teatro non è – come diceva Carmelo Bene – l’imitazione morta di altri morti, ma splendore e meraviglia, invenzione scenica, sorpresa e incanto. E così è stato.
UN CUORE DI VETRO IN INVERNO di e con Filippo Timi debutto nazionale al Teatro della Pergola di Firenze fino al 28 ottobre, con Marina Rocco, Elena Lietti, Andrea Soffiantini, Michele Capuano.
Francesco de Masi