“MACBETTU” DI ALESSANDRO SERRA AL TEATRO BELLINI DI NAPOLI
Che cosa vai a vedere stasera al teatro Bellini? “Macbettu”. Forse hai sbagliato, guarda che si dice Macbeth. No, stasera si dice proprio Macbettu, vado a vedere una rivisitazione in lingua sarda della tragedia di Shakespeare. Ma dai, e che cosa speri di capire? Il sardo è una lingua a parte, non capirai niente. É proprio quello che spero, non voglio capire niente.
E così è stato. Il giorno di san Valentino, festa dell’amore per eccellenza, mi sono innamorato ancora una volta del teatro e in particolare del teatro di Alessandro Serra senza capire quasi niente delle parole declamate dagli attori. In soccorso c’erano i sottotitoli ma ho provato a lasciarmi andare, proprio come in una storia d’amore, senza cercare aiuti esterni, senza facili appigli e uscite di sicurezza. Ho spalancato gli occhi, aperto le orecchie e mi sono perso nel meraviglioso mondo della Barbagia. Nello spettacolo di Serra c’è tutta l’essenza della tragedia scozzese, e la lingua sarda non fa che arricchire il tutto con quei suoni, quelle grida, quelle voci che sembrano provenire direttamente dalle viscere della terra. È un canto disperato quello sardo, non più racconto, non più parole, nessuna conversazione didascalica. Solo pugni nello stomaco al grido di Macbettu. L’idea di una reinterpretazione del dramma in chiave isolana è venuta al regista durante un reportage fotografico tra i carnevali della Barbagia e con l’aiuto ai testi di Giovanni Carroni, Alessandro Serra crea un’unica terra dove i nuraghi si confondono con i castelli della Scozia medievale e gli usi e i costumi di un’isola mediterranea danno corpo, sangue e sudore agli eroi di una tragedia scritta nel 1600. C’è la magia della Sardegna, le maschere di sughero per raccontarci di una foresta che cammina verso di noi, le forze della natura, branchi di maiali e pelli d animali, fiumi di vino rosso e suoni della terra con campanacci e antichi strumenti. Ci sono loro, le streghe, delle potenti janas, mitiche figure protagoniste di molte fiabe e favole locali.
Però non basta quest’isola meravigliosa ricca di tradizioni, mai così vicina alle lande scozzesi, patria di Macbeth e del suo fidato amico per capire come e perché lo spettacolo ha vinto il premio UBU 2017 e non basteranno certo le mie parole, l’unica cosa che potete fare è scendere di casa e andare a teatro e lasciarvi incantare da questa rivisitazione al grido di Macbettu. Come nella tradizione del teatro elisabettiano ci sono solo uomini sul palco e tutto è un piacere per gli occhi. Le luci creano ombre e fantasmi nella notte, tensioni e drammi scolpendo i corpi degli attori. Come in una danza, una parata militare, una marcia funebre da camposanto i protagonisti si muovono in uno spazio scarno, vuoto e con pochissimi elementi a corredo, un mondo incompreso e misterioso dove ogni passo d’uomo è una manciata di polvere che sale verso l’alto a ricreare paesaggi e situazioni ostili. Pietre e ferro a ricordarci il nostro passato, le nostre origini, residui di civiltà scomparse. Oggetti e tavoli, fardelli totemici che suonano come tamburi e richiami di morte, accompagnano grugniti di maiali sgozzati e ronzii di mosche. La tragedia del generale scozzese è spinta oltre ogni limite immaginabile, una violenza esasperata fine a se stessa, e tutto contribuisce ad accentuare questa sensazione per costringere lo spettatore a rendersi conto che non c’è soluzione e speranza a questo mondo, come in quello di Shakespeare. Ma Alessandro Serra non è poi così perfido e con una mossa geniale stempera il dramma del giovane scozzese strappando sorrisi e applausi. Ci ricorda così che ai funerali si può anche sorridere e mette in scena tre janas degne della migliore tradizione clownesca. Dimenticate streghe e vampiri, lasciate a casa il fantasma di Banquo e godete di questi momenti di pura gioia tra sputi, boccali buttati, ramazze lanciate da una parte all’altra del palco e corse a perdifiato perché non ce ne saranno altri a teatro stasera. Ma siamo pur sempre davanti a un massacro e niente può farci dimenticare il grido incessante di Macbettu.
Antonio Conte