“Il flauto magico” torna a Torino: un film muto su Mozart
Torna al Teatro Regio di Torino il titolo più amato di Wolfgang Amadeus Mozart: Il Flauto Magico, singspiel in due atti sul libretto di Emanuel Schikaneder. Opera tra le più rappresentate e apprezzate dal pubblico. Il flauto del compositore austriaco è capace di ottenere l’attenzione di chiunque, catalizzatore di emozioni molteplici che coinvolgono senza mai annoiare il pubblico più esperto ma anche chi capita più per caso che per passione sulla poltrona di un teatro.
Quello in scena in questi giorni e fino a venerdì 14 aprile a Torino è sicuramente un Flauto Magico diverso da quelli a cui siamo abituati, l’allestimento è del Komische Oper Berlin, non un allestimento classico, depurato da tutti gli elementi storicizzati che hanno invece caratterizzato le numerosissime produzioni che a partire dal 1791 hanno animato i teatri di mezzo mondo. Che cosa rimane sul palco? Moltissimo, rimane anzitutto una partitura fitta e sfaccettata eseguita ottimamente dall’orchestra del Regio, la quale è diretta in maniera energica e frizzante dal Maestro Sergio Quatrini. La direzione che arriva dal podio è perfettamente accordata alla reale protagonista di questa messa in scena: la macchina spettacolare che nell’insieme trasforma un’opera lirica in un lungo film muto. L’ideazione e la regia sono del duo “1927” (la data è simbolica e fa riferimento all’anno della prima proiezione sonora nella storia del cinema) ovvero Suzanne Andrade e Barrie Kosky, per la rappresentazione torinese riprende la regia Tobias Ribitzki.
Sollevato il sipario lo spettatore si trova davanti ad un fondale che ospita diverse porte, finestre e meccanismi che permetteranno agli interpreti di sbucare dapprima in alto, poi in basso, ancora a sinistra e poi al centro di questo grande schermo ospitante la proiezione delle oniriche animazioni disegnate da Paul Barritt. I cantanti, si diceva, compaiono e si alternano in scena interagendo continuamente con le proiezioni, che sono sì un’unica scenografia in costante mutamento ed evoluzione ma allo stesso tempo anche figurante instancabile che prende per mano lo spettatore e lo guida alla scoperta della drammaticità e della comicità della trama. Tutto il cast ha saputo cimentarsi in una sfida non scontata: interagire con le proiezioni, rispettando rigorosamente i tempi scenici che hanno permesso ai quadri ideati da Esther Bialas di prendere vita fluidamente e senza errori.
Le atmosfere che accompagnano la vicenda di Tamino (Joel Prieto) e Pamina (Gabriela Legun) – condotti nel proprio viaggio alla ricerca dell’amore dall’uccellatore Papageno (Alessio Arduini) con la sua Papagena (Amélie Hois) e sotto la minaccia dell’applauditissima Regina della Notte (Serena Sáenz) – sono ispirate al secondo decennio del Novecento, elemento marcatamente riconoscibile negli incantevoli costumi (anch’essi della Bialas). A sottolineare l’ambientazione assistiamo alle gestualità tipiche dell’estetica charleston delle tre dame (Lucrezia Drei, Ksenia Chubunova e Margherita Sala). Ancora, sul palco si alternano Sarastro (In-Sung Sim), Monostatos (Thomas Cilluffo) e i due armigeri (Enzo Peroni e Rocco Lia). A completare il ricco cast la pregevole, come di consueto, performance del coro istruito da Andrea Secchi e le limpide voci bianche dei tre fanciulli (Viola Contartese, Alice Gossa e Isabel Marta Sodano).
La serata si è conclusa con gli entusiastici e convinti applausi del pubblico per un allestimento sorprendente, tecnicamente perfetto che, però, ha sacrificato liricità e poesia in favore di una macchina scenica perfettamente progettata ma fredda.
Leonardo Baroni
Fotografia di Andrea Macchia