“I nomi epiceni” di Amélie Nothomb – Amare o non amare… questo è il problema
“La collera è preziosa, protegge dalla disperazione”
L’amore malato è il tema affrontato da Amèlie Nothomb nel suo nuovo romanzo. Sì, la malattia morbosa, generata dall’odio che ha soppiantato l’amore. Come un circolo vizioso, il tutto vortica nelle esistenze dei personaggi.
Claude ama follemente ma viene tradito dalla brama di benessere della donna che ama. Dominique con la sua timidezza rappresenta la vittima prescelta, l’agnello sacrificale, vive la sua modesta vita con serenità, finché a turbare il suo equilibrio entra in scena Claude che riesce a conquistarla con una bottiglia di CHANEL N.5. Da quel momento in poi, sarà manipolata da Claude per soddisfare la sua fame di vendetta. Dominique si limita ad assistere al susseguirsi degli eventi, come una spettatrice al teatro, che indossa una maschera velata a coprire la visuale. Epicene è la loro figlia, infelice, tanto amata dalla madre quanto odiata dal padre. Ha un intelletto brillante che a causa del padre decide di spegnere. I nomi epiceni sono quei nomi che non specificano il sesso. Tutto il romanzo è impregnato del verbo “to crave”, avere un bisogno. Ma cosa siamo capaci di fare pur di soddisfare un bisogno?
Il romanzo “I nomi epiceni” di Amélie Nothomb (Voland 2019, pp. 128, euro 15) sembra apparentemente non toccare significati profondi, quasi come un voler uscire dalla casa degli specchi e, nel tentativo di farlo, si smarrisce nuovamente la strada, finendo a sbattere contro i vetri che la compongono. Come un refrain la conclusione è lì, lo è sempre stata, anche se qualcuno non l’ha vista: mors tua vita mea. Il linguaggio utilizzato è rasoio, la scrittura è feroce quando descrive le crudeltà, le cattiverie che si annidano nell’animo umano. E il lettore è lì ad assistere agli eventi, in apnea,con l’acqua che distorce le immagini e i suoni come avviene durante un’immersione. La Nothomb è sempre accurata e perfezionista quando architetta i suoi romanzi.
Marisa Padula