LA VENERE DI TAŠKENT DI LEONARDO FREDDUZZI
Mosca 1967. Una bellissima attrice di teatro senza vita, Anastasija Timokina e tre principali sospettati. È così che il commissario Kovalenko comincia a indagare su questo strano caso di omicidio, con un corpo ritrovato sotto la neve candida e mattutina di Mosca. La sera precedente il rinvenimento del cadavere, al teatro Taganka, dove recitava Anastasija, era andato in scena uno spettacolo di successo che la vedeva nelle vesti di protagonista. Ed è proprio da questa serata che il commissario Kovalenko comincia a condurre le sue indagini, trovando tre soggetti interessanti per le ricerche. E, così, li interroga.
Valerij Lebedev, il direttore del teatro: ha visto Anastasija per l’ultima volta al brindisi consueto degli attori, dopo lo spettacolo.
Platon Sobolev, l’aministratore del Taganka: si è trattenuto fino a tarda notte al teatro, ha visto Anastasija per l’ultima volta al ritiro dell’incasso dopo lo spettacolo, prima del brindisi.
Volodja Miller, un critico teatrale, personaggio abbastanza stralunato e precario: dice di aver lasciato il teatro subito dopo aver intervistato il direttore Lebedev.
Successivamente, Kovalenko interroga altre persone che girano intorno al teatro, ma senza trovare elementi fondati. Nelle pagine successive, si recherà anche a visitare la città natale di Anastasija, per parlare con i suoi parenti stretti. Cosa è successo realmente a questa giovane e bellissima attrice? Cosa lega i tre uomini ad Anastasija?
“LA VENERE DI TAŠKENT” (Voland, pp. 181, euro 15) di Leonardo Fredduzzi si rivela un libro accattivante e scorrevole. Incuriosisce soprattutto, per la sua struttura misteriosa e un po’ cupa, la costruzione del personaggio di Kovalenko che stupisce per la sua intelligenza fine e la capacità di cogliere i pensieri più profondi e segreti di tutti gli altri personaggi che – ovviamente – a fatica si toglieranno la maschera che indossano.
Greta Sabatini