Guardare a sogni aperti. Paolo Nani porta “L’arte di morire ridendo” al Teatro Gobetti di Torino
Dal 17
dicembre al 6 gennaio, con il tallone nel 2019 ormai al tramonto
e la punta del naso nell’alba di un decennio nuovo, Paolo Nani
torna a far applaudire gli occhi, le mani e i cuori del pubblico
torinese. Sul palcoscenico del Teatro Gobetti, che nella
scorsa stagione del Teatro Stabile ha ospitato con grande successo
“La lettera”, arriva l’emozionante spettacolo “L’arte di
morire ridendo”.
Due attori al culmine della carriera –
interpretati da Paolo Nani e da Thomas Bentin –
vivono attorno e attraverso un piccolo sipario rosso. Nel loro
repertorio non ci sono parole (quanto meno non di senso compiuto),
infatti essi attingono dall’arte del mimo e del clown per costruire
personaggi e scene travolgenti, al confine tra reale e fantastico.
L’entusiasmo del pubblico cresce, tanto che i due fanno a gara per vedere chi è in grado di strappare l’applauso più fragoroso. Finché, come il titolo lascia presagire, la morte inizia ad intrufolarsi dietro le quinte, sabotando il ritmo così duramente raggiunto. Il confine diventa allora quello tra la luce e l’ombra, tra l’euforia vitale del personaggio e la vulnerabilità dell’attore. Ci sarà una via di scampo, senza perdere di vista il sorriso?
Per la sua particolare natura drammaturgica, “L’arte di morire ridendo” ha una trama che si spezzetta in gag memorabili quali ad esempio “il tavolo della colazione” o “Adamo ed Eva in versione flamenco”, ma che non si lascia spiegare con facilità. Il ridottissimo contenuto di parole, del resto, era un ingrediente fondamentale anche ne “La lettera” (https://www.modulazionitemporali.it/habemus-paolo-nani-la-lettera-al-teatro-gobetti-di-torino/).
Di cosa racconta, dunque? Innanzitutto di una grande, sublime fatica vissuta davanti e dietro il sipario. Allo stesso tempo, di un rapporto di complicità e di amicizia, in cui ciascuno è sia pungolo sia rete di salvataggio per l’altro.
Ma questa arte, tesa come la fune di un equilibrista, testimonia anche qualcosa di irrinunciabile alla vita, l’affrontare la paura e la morte, tenendo insieme in un solo respiro fantasia, desiderio e sogno. L’unica frase in tutto lo spettacolo, pronunciata dopo aver appreso di una grave malattia, rimane sospesa come una piuma tra il mondo dei vivi qui-ora e il mondo dei vivi ovunque-sempre. E così restiamo anche noi spettatori: sospesi e sorpresi, divertiti e commossi.
Pier Paolo Chini
Fotografia di Gabriele Zucca