“Gli occhi delle balene” – Carolina Sanín racconta la maternità
“Qualche tempo più tardi stabilì che Fidel era nato mentre lei, seduta sul bus, ascoltava lo sproloquio sul pane…”
La vita di Laura cambia quando una notte arriva da lei Fidel, un bambino di sei anni e mezzo, che l’aveva scelta, fermandosi propria davanti all’edificio del suo appartamento, “sono dove la mia vita si compie”. Un bambino che la donna vede sin da subito come il frutto del suo desidero, della sua preghiera.
Da questo momento, dopo mille peripezie burocratiche e altrettante incertezze, la donna dovrà far fronte a ciò che significa essere madre, dovrà insegnare a qualcuno di molto più piccole cose essenziali, scontate per gli adulti, come masticare un chewing-gum senza ingoiarlo o come sono le balene o di cosa sono fatti gli spaghetti.
“Domandò se il cane li avesse mai assaggiati e se esistessero spaghetti di altre cose. ‘Di altre cose?’ indagò Laura ‘Sì. Di code di cane’, rispose lui, cercando di sorprenderla”.
E nel frattempo, Laura continua la sua lettura di Moby Dick, velocemente o fermandosi, in base a ciò che le accade nella vita.
Con “Gli occhi delle balene” (Mendel Edizioni, 2020, pp. 141, euro 17,10) Carolina Sanín racconta le emozioni di un rapporto straordinario, capitato per caso, e per questo motivo pieno di incertezze e paure. Un libro sulla maternità e sull’affetto, che prende il titolo, in italiano, dal grande mammifero per eccellenza, la balena. Una maternità che ha dentro di sé accoglienza e abbandono, inclusione ed esclusione, distacco e ricongiungimento. Una maternità non naturale che vede un maschio e una femmina di età diversa incontrarsi, scontrarsi fino ad arrivare a una sorta di equilibrio e verso una continua evoluzione e crescita insieme.
Marianna Zito