Fabrizio Paterlini torna con l’EP dal vivo “Transitions”
Lo scorso 29 novembre ha visto la luce un nuovo lavoro del pianista e compositore mantovano Fabrizio Paterlini, un EP con 8 tracce, dal titolo “Transitions” edito dalla Memory Recordings.
Un disco particolare, registrato dal vivo a luglio 2019 a Villa Dionisi a Cerea, in provincia di Verona, un luogo suggestivo che ha portato l’artista a completare un esperimento iniziato già da tempo; infatti i brani di “Transitions” sono parte di un progetto lanciato da Paterlini in estate: micro racconti al pianoforte, pubblicati sui social quasi ogni giorno. Un titolo azzeccato quindi per un lavoro di grande effetto e suggestione, con un suono reso ancora più etereo da un accorgimento tecnico: l’applicazione di una striscia di feltro tra le corde e i martelletti, al resto provvede l’ambientazione come cassa di risonanza. Ascoltando il disco si percepiscono rumori lievi di sottofondo, molto suggestivi, che rendono ancora più vero l’impatto sonoro ed emotivo. Tutti i brani hanno una delicatezza e un dinamismo raffinato, sono come dei piccoli sorsi di un’unica bevanda. L’impatto sonoro si rende più forte a partire da “Istanbul Wedding” fino alla fine del disco. L’unica eccezione che esula dall’esperimento citato sopra è il brano apripista “Eyes closed”, che invita a lasciarsi andare a chiudere gli occhi per quello che verrà dopo.
Abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda a Fabrizio per scoprire qualcosa in più su questo disco e sui prossimi progetti.
R.U.: Il disco “Transitions” ha già nel titolo un concetto di passaggio, di “transizione” appunto, che mi fa venire in mente un ponte che collega due sponde, qual è però per te il senso di questo titolo?
F.P.: Il titolo lo abbiamo scelto insieme al regista, Edoardo Cantini, che aveva in mente un plot narrativo più complesso, che vedeva in quella villa uno spazio di “transizione” e di silenzio, se paragonato al caos delle città in cui aveva ambientato l’inizio del video. Ho trovato particolarmente calzante il titolo anche per me, perché è sicuramente vero che questo disco è una sorta di ponte tra un lavoro più complesso e un altro. Un momento meditativo, in piano solo, senza altre voci, che si sposa perfettamente con la magnifica sala in cui abbiamo ripreso il tutto.
R.U.: Senti un filo conduttore nei brani del disco?
F.P.: Il filo conduttore credo sia il suono del pianoforte. Questo disco è soprattutto suono – un suono cercato lungamente, studiato nei dettagli e agevolato dall’importanza dello spazio in cui abbiamo messo il pianoforte.
R.U.: Nei brani strumentali mi affascina sempre il titolo che l’autore dà alle composizioni, come avviene per te questa scelta?
F.P.: È sempre abbastanza difficile mettere dei titoli a dei brani strumentali! Il rischio sta nel “condizionare” l’immaginario di chi ascolta, quando in realtà la bellezza di questo tipo di musica sta proprio nel lasciare a ciascuno la possibilità di mettere le proprie immagini, le proprie speranze fra le note che ascolta. Tuttavia, il titolo è anche parte importante della composizione e dedico molto tempo alla scelta. Il titolo più curioso è forse “Istanbul Wedding”: in questo caso, il brano che avevo già pubblicato su Instagram la scorsa estate, era stato usato come musica di un video (anch’esso pubblicato) di una coppia iraniana che si sposava a Istanbul. Quindi, coppia iraniana che si sposa a Istanbul con musiche scritte da un italiano… mi è sembrato bellissimo che in un minuto ci fosse così tanto mondo!
R.U.: L’esecuzione di “Transitions” è avvenuta dal vivo, che tipo di esperienza è stata per te, come è nata “Eyes closed”, composta al momento?
F.P.: “Eyes closed” è nata seguendo istintivamente le suggestioni che il suono del pianoforte mi ha portato, la prima volta che l’ho suonato in quell’ambiente. È stata un “buona la prima”, sostanzialmente.
R.U.: Sei un compositore che definirei “ricercatore”, quale sarà il prossimo passo dopo questo esperimento?
F.P.: Si, è vero, mi piace pensare di essere in continua ricerca. Ora ho trovato una formula che continua a darmi stimoli: il pianoforte è sempre più strumento centrale e l’elettronica, se una volta era intesa come aggiunta di strumenti elettronici quali sintetizzatori e drum machines oggi è invece un lavoro sul suono stesso del pianoforte, che viene manipolato ed alterato in tempo reale da una pedaliera ricca di effetti che porto ormai ovunque.
R.U.: Dopo anni di carriera, come è cambiato il tuo modo di comporre e di fare musica? Con chi ti piacerebbe collaborare?
F.P.: Direi che è sempre più spontaneo e indirizzato verso l’improvvisazione. Cerco sempre di più di non avere filtri tra ciò che suono e le sensazioni che provo in quel particolare momento. Più che collaborare con qualcuno, sarei curioso di scrivere una colonna sonora “ad hoc”; i miei brani sono stati utilizzati come musiche di sottofondo per svariati progetti, ma non ho mai scritto nulla ex novo per un progetto inedito.
Un enorme grazie a Fabrizio Paterlini per la disponibilità e il prezioso contributo.
Roberta Usardi
https://www.fabriziopaterlini.com/