Vacis dirige i neodiplomati dello Stabile: Wedekind a Moncalieri
Frühlings Erwachen, ovvero Risveglio di primavera, è la tragedia più nota del drammaturgo tedesco Frank Wedekind. Scritto alla fine dell’Ottocento, sbarcò in teatro solo nel 1906, a Berlino. Messo all’indice, censurato, commentato da Freud e Lacan, questo lavoro teatrale affronta in maniera onesta un tema che ancora oggi, per mille ragioni, rende ipocrite le masse: la sessualità, con tutte le sue declinazioni e conseguenze: le scoperte puberali, la masturbazione, l’erotismo, l’omosessualità, lo stupro. Vengono altresì trattati: la violenza, la depressione, il suicidio, l’aborto. Wedekind, il cui obiettivo primario era sicuramente quello di biasimare e colpire le frange più conservatrici della società, in alcune circostanze lascia pensare di voler compensare tutto questo dolore con una fioca dose di speranza, la quale probabilmente ispirerà le nuove generazioni.
Gabriele Vacis (Settimo Torinese, 1955), in qualità di direttore della scuola per attori del Teatro Stabile di Torino, ha scelto proprio la succitata opera di Wedekind per lanciare i suoi neodiplomati sul palco. In tutto, i ragazzi coinvolti sono ventuno: Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Chiara Dello Iacovo, Lucrezia Forni, Sara Lughi, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Gabriele Matté, Eva Meskhi, Erica Nava, Cristina Parku, Davide Pascarella, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Kyara Russo, Letizia Russo, Daniel Santantonio, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera, Giacomo Zandonà. Taluni molto bravi, altri forse un po’ troppo emozionati; tutti in sintonia col loro regista, Vacis, che dalla quarta fila gesticola – ora paziente, ora spazientito – a seconda dell’andamento e della qualità recitativa. Alcuni di loro sono davvero sorprendenti: sanno piangere, baciare, urlare; simulano convincentemente il dubbio, il dolore, il turbamento, il desiderio, l’imbarazzo, la disperazione, la gioia, la frivolezza, l’eccitazione. Vestiti come gli appartenenti ad una comune di matrice sinistrorsa – gonne di raso, camicie di lino, pantaloni cachi, salopette beige, tinte grigie, rosse, argilla, stampe di giaguaro e di Franz Marc – si muovono sul palco, scalzi, in vortici e spirali (tipo metodo Feldenkrais ma velocizzato, giovane, elettrizzato e collettivo), plasmando così una danza centripeta e centrifuga, quasi vicendevolmente telecinetica. Nessuna scenografia, se non qualche sedia sui lati, un pianoforte e alcuni altri strumenti. I ragazzi di Wedekind – Moritz, Wendla, Melchior, Ernst, Hänschen… – vengono interpretati a turno da diversi diplomati, ma per fortuna (o per bravura) questo non crea affatto confusione nel pubblico, che anzi viene educato a focalizzarsi sul personaggio al di là dell’attore. L’intento registico è chiaro; attraverso Wedekind Vacis vuole dimostrare che anche se il tempo scorre, il progresso è un’illusione: […] tra il 1890 e il 1891, avevano tredici anni Stalin, Albert Einstein, Robert Walser, Lev Trotsky, Paul Klee. Ma nei […] tredicenni di allora – abbiamo scoperto – splendono gli stessi dolori dei tredicenni di oggi, i ragazzi nati nel 2008, che ascoltano Billie Eilish e XXXTentacion, che sanno cos’è una crisi economica perché ci sono nati dentro, che possono sapere le cose del mondo perché il mondo non finisce nel bosco fuori la loro città, perché quei confini non esistono più. […] Com’è possibile che questa Germania di fine Ottocento sia così vicina a noi? Com’è possibile che Frank Wedekind abbia visto tra le maglie del tempo i suicidi dei ragazzi, l’educazione sentimentale ancora oggi inesistente […]? Vacis, dunque, attualizza ed espande il testo originale: nel suo collage finiscono certe citazioni dell’Otello (Dicesti, Desdemona, le tue preghiere della sera?) e persino Vasco Brondi (A forma di fulmine, 2017) cantato a cappella. In generale, la resa è piuttosto soddisfacente: probabilmente manca un po’ di ritmo (i ragazzi impiegano circa due ore e mezza per finire, mentre sul programma di sala è indicata una durata di un’ora e quaranta), ma lo spettatore non può non rimanere colpito dalla capacità di alcuni giovani di gestire il palco con il corpo e con la voce.
Le repliche sono partite l’8 giugno, e continueranno sino a domenica 27 nella sala piccola delle Fonderie Limone di Moncalieri.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Andrea Macchia