UN ANNO CON TREDICI LUNE AL TEATRO INDIA
“Ogni 7 anni c’è l’anno della luna: uomini la cui esistenza è determinata in gran parte dai sentimenti, in questi anni della luna soffrono in modo particolare di depressione. La stessa cosa avviene in modo meno rilevante anche negli anni con 13 noviluni. E se un anno della luna è anche un anno con 13 noviluni, si verificano spesso ineluttabili catastrofi personali. Nel ventesimo secolo sono sei gli anni dominati da questa pericolosa congiuntura astrale; uno di questi è l’anno 1978. Prima c’erano stati gli anni 1908, 1929, 1943 e 1957. Dopo il 1978, sarà l’anno 1992 a mettere, ancora una volta, in pericolo l’esistenza di molti uomini”.
In una scena spoglia – con orinatoi sullo sfondo – si espande la solitudine di Elvira, consumata dalla vita e dai sui drammi interiori: dalle suore dell’orfanotrofio, alla moglie e alla figlia fino all’uomo che – da donna – ama e che la abbandona al suo triste destino. Elvira prima era Erwin, padrone di un corpo di cui viveva una non appartenenza, una conflittualità insita e sconosciuta che con Elvira non si placa e non si compensa ma che finisce totalmente in una solitudine irrisolta e irrisolvibile, nella perpetua ricerca di una identità.
“Un anno con tredici lune” di Rainer Werner Fassbinder è portato in scena al Teatro India di Roma dalla regia di Carmelo Alù e da un bellissimo ed elegante Emanuele Linfatti, che ci accompagna nel passato di Erwin attraverso il cambiamento e la perdita – di Anton prima e di Christopher poi – contraddistinti da un dolore e da un desiderio di morte, tanto che nemmeno i punti fermi della sua vita – l’ex moglie e sua figlia – riusciranno a tenerlo ancorato alla sua realtà.
In scena vediamo lo stesso Carmelo Alù e poi Grazia Capraro, Gabriele Cicirello, Domenico Macrì, Adalgisa Manfrida, Eugenio Mastrandrea; i passi sono lenti, le evoluzioni armoniche ma decise, dove ogni azione ha una precisa conseguenza con cambiamenti inevitabili e senza ritorno. L’immagine della pietà è spiazzante nei colori netti del bianco e del nero e, allo stesso tempo, delirante nel rosso sangue delle labbra di un joker che si è arreso troppo presto all’inferno del dolore.
Marianna Zito