“Storia e storie del mazzinianesimo femminile. Dalle origini all’Italia repubblicana” di Marco Marinucci
“Storia e storie del mazzinianesimo femminile. Dalle origini all’Italia repubblicana” (Stamen 2019, pp. 336, euro 18) di Marco Marinucci. Ultimo frutto in ordine di tempo del lavoro tenace di un giovane storico di professione, questo volume è destinato ad assumere un posto non secondario nel panorama della letteratura mazziniana e più in generale della storiografia risorgimentale otto-novecentesca.
A un primo impatto, il libro ci riporta verso un’epoca che i più giovani, compressi da una crescente accelerazione temporale, potranno percepire come lontanissima se non evanescente: l’epoca delle lotte per la conquista dell’Indipendenza e della creazione dell’Italia come nazione. Si snoda davanti agli occhi del lettore, infatti, una galleria di personaggi femminili, vorrei dire, con il linguaggio della pittura, una bellissima serie di ‘tondi’, collocati sullo sfondo di un paesaggio italiano ottocentesco, evocato con la stessa nostalgia empatica che pervade film come Senso o Il gattopardo di Luchino Visconti. Tuttavia dalle nebbie di un’epoca apparentemente lontana emerge prepotentemente un tema di grande attualità: l’emancipazione della donna, la lotta per la parità tra i sessi. Queste donne mazziniane hanno dato un enorme contributo, spesso misconosciuto, alla lotta per l’Indipendenza. Esse lottavano, in primo luogo, contro il principale, secolare ostacolo all’unità della nazione, lo Stato della Chiesa. Questo Stato che le perseguitava, le incarcerava ventilando oscure minacce di torture se non di condanne a morte (che se poi concretamente si traducevano nella condanna all’esilio, costringevano tuttavia le stesse a girovagare per la penisola o addirittura fuggire all’estero, dove già era esule Mazzini), era il vero, ostinato nemico da abbattere. Un nemico che si faceva forte, innanzitutto, della radice biblica dell’inferiorità femminile, la discendenza della donna dall’uomo, con la conseguente dipendenza della femmina dal maschio padre e padrone. Impensabile, quindi, che la donna potesse rivoltarsi contro la Chiesa, e combatterla, manu militari, insieme al maschio e con la stessa dignità. Le donne mazziniane, in questa ottica, erano soprattutto peccatrici. Mazzini aveva capito perfettamente che per abbattere la Chiesa bisognava abbattere in primo luogo il suo fondamento ideologico, il dettato biblico. Egli non esitò quindi a contrapporre alla Bibbia del passato una Bibbia, che con echi feuerbachiani, chiamava la «Bibbia dell’avvenire»: «Dio creò l’Umanità manifestata nella donna e nell’uomo». Questa era la nuova ‘filosofia dell’avvenire’ che stava dietro l’operato delle donne mazziniane, e che era destinata a trasformare la vita civile e politica dei secoli XIX e XX.. Le mazziniane, infatti, furono le prime a battersi per l’istruzione generalizzata, il voto alle donne o per il divorzio (obiettivo, questo, raggiunto in Italia solo in tempi recenti).
Più complesso è il rapporto del femminismo mazziniano, e del mazzinianesimo in generale, con le istanze di progresso sociale fatte proprie dal marxismo della I Internazionale. L’idealismo laico di Mazzini rappresentò quasi sempre un forte ostacolo sotto questo rispetto. Tuttavia i contatti, specie da parte femminile, non mancarono, e pur tra mille distinguo, che inizialmente generarono anche una ‘comprensione’ del fascismo come antidoto al materialismo marxista, infine sfociarono nella piena unità di intenti della lotta partigiana, che vide i mazziniani di Giustizia e Libertà, poi Partito d’Azione, combattere insieme ai socialisti e ai comunisti. Esemplare, in questo senso, la figura eroica di Bastianina Martini Muso, ritratta con commovente partecipazione da Marco Marinucci nella parte finale dell’opera.
L'autore presenterà il libro a Roma venerdì 18 ottobre ore 18,30 presso la Libreria "Le Storie" in Via Giulio Rocco, 37-39.
Luciano Albanese
Ricordo a Marinucci l’esistenza, come affiliata mazziniana, la vedova del pioniere dell’egittologia, il padovano Giovanni Battista Belzoni, vale a dire l’inglese Sarah Parker Brown, che agì a Bruxelles in corrispondenza con l’esule trevigiano Francesco Dall’Ongaro. Pare che Mazzini, data la sua notorietà, volesse tutelarla in ogni modo, come si esprime in una lettera al Dall’Ongaro. A mio parere, l’attentato di Orsini a Napoleone III, la costrinse ad abbandonare Bruxelles per evitare i guai occorsi al trevigiano, e riparare nell’isola di Jersey, nel canale della Manica sotto protezione inglese.