“La terra d’ombra” e lo spiraglio di luce per tenerci in vita
“La terra d’ombra” (La Nuova Frontiera, pp. 256, euro 18) è il nuovo romanzo di Ron Rash, autore americano che negli Stati Uniti è ormai considerato un classico della letteratura del sud.
Stretta tra i selvaggi Appalachi c’è una valle dove la luce non batte quasi mai, se non in certi punti, in certe ore. Una terra d’ombra che riflette il timore dei suoi abitanti che la ritengono maledetta e popolata da creature soprannaturali.
Proprio qui, in una fattoria, vivono i fratelli Shelton: Laurel, una giovane donna “marchiata” da una voglia violacea, che tutti credono una strega, e Hank, appena tornato dalle trincee della Francia, con una mano in meno e voglia di dimostrare che può farcela sempre e comunque.
È una vita che scorre nella sua tranquilla quotidianità, tra i lavori in fattoria, i viaggi in città per le commissioni. E la natura tutta intorno a fare da cassa di risonanza, ai fatti, alle sensazioni. Mai solo sfondo, ma protagonista a tutti gli effetti, ambiente e personaggio in grado di riflettere umori e caratteri.
L’arrivo di Walter, nella valle prima e in casa loro dopo, cambierà la vita di tutti. Di Laurel e di Hank in primis. Walter, all’apparenza muto, porta con sé un passato e un presente ingombranti che a poco a poco verranno svelati, da chi con amore e da chi con odio.
Non è una storia facile né felice quella che ci racconta Rash, solo a tratti lo è. Perché è il racconto di come la superstizione “prodotto di coincidenze e ignoranza” può inquinare fin dalle falde, e distruggere tutt’intorno. Potremmo essere, da questo punto di vista, in qualunque tempo e in qualunque posto. Per gli abitanti della valle, forse, l’unica attenuante è essere stanchi di una guerra che porta via i giovani e li restituisce morti o feriti, il bisogno di proteggersi dalla paura. Che rischia però di rendere ciechi e incapaci di distinguere.
“La sensazione di essere un fantasma che aveva provato l’ottobre dell’anno prima l’aveva assalita di nuovo, così si guardò intorno in cerca di qualcosa che l’ancorasse di nuovo al mondo.”
È toccante la solitudine in cui vive Laurel perché totalizzante. Quando basterebbe poco per farla sentire sì diversa, ma in un modo bello, come la sua maestra a scuola, “con piccoli gesti come abbracciarla ogni mattina o lasciandole fare l’appello o suonare la campana della ricreazione.”
Quando Laurel incontra Walter è sola da troppo tempo, fin da piccola. Si è dovuta fare carico di molto: del padre malato, della fattoria mentre il fratello è in guerra, di sguardi schifati, di parole brutte. È in cerca di una gioia tutta sua, anche la più piccola, ma sua e condivisa, soprattutto, affinché sia davvero reale. Con Walter inizia per lei quella vita che da tanto aspettava iniziasse.
“No, pensò Laurel, rivivrei ogni singolo giorno di questa vita miserabile, solo per questo momento.”
Quando tutto sembra raddrizzarsi sia per lei sia per Hank, l’epilogo è dei più tragici e dei più ingiusti. Eppure, proprio grazie a questi due personaggi, Rash ci invita a non perdere mai la speranza, a non cedere, a credere.
Laura Franchi