“Senza eredità” è il nuovo disco di Moltheni: la bellezza della semplicità – La recensione
Moltheni è tornato. Dopo undici anni dalla raccolta “Ingrediente novus” è uscito l’11 dicembre 2020 il nuovo album “Senza eredità” per La Tempesta Dischi. Non che Umberto Maria Giardini si sia mai fermato, ma è importante capire e apprezzare il passo verso un nome con cui ha pubblicato, escluso questo, sette dischi più un live in un arco di dieci anni, dal 1999 al 2009.
Questo nuovo lavoro discografico come Moltheni è il frutto di un percorso di ricerca durato circa un paio d’anni, durante i quali alcune vecchie canzoni hanno trovato finalmente la luce con rivisitazioni, correzioni, riadattamenti e completamenti. Un disco poetico, evocativo, in cui la timbrica di Moltheni si esprime in tutta la sua naturale espressività. La copertina di “Senza eredità” rimanda ai suoni che si andranno ad ascoltare e alle immagini che si formeranno durante l’ascolto: il progetto grafico di Emmaboschi mostra uno sfondo sul quale emergono volti e figure prese da fotografie del passato, attraverso un collage ad opera di Poison.
Il disco si compone di undici brani che cullano l’ascoltatore in atmosfere a tratti oniriche per gli arrangiamenti, a partire dal brano che apre il disco, “La mia libertà”, con una melodia che colpisce fin dalle prime note: “oggi cerco ancora la mia libertà il bene collettivo mi coinvolge, mentre il dito medio temerario attendo tranquillo che arrivi il mio turno con te”. Le tematiche dei testi toccano i ricordi del passato, con una punta di nostalgia, come in “Ieri” (“la mia verità cammina piano, non è altruista e non proietta ombra”) o con immagini ancora nitide in “Le nere geometrie paterne”: “cominciò in un inverno glaciale il mio netto distacco da te, non fui più una bambina normale, ma potetti vivere”.
Naturalmente c’è anche l’amore che brucia di passione, in “Se puoi, ardi per me” (“da come ti tocchi pare che ami gli ingordi, tutti quelli che mangeranno poi anche te”) o l’amore difficile, ma che continua a resistere in “Il quinto malumore”: “non hai non vuoi più chi ti ascolta, ma è ciò che meriti perché, perché fai tutto in fretta”. L’amore è presente anche nei ricordi di gioventù, nella scoperta di un sentimento intenso, come in “Me di fronte a noi” (“ti vergogni di me? ti vergogni di noi? di chi ci guarda baciarci quanto ti riaccompagno in macchina”) o in “Estate 1983”: “potremmo cominciare ad ignorare il tempo, ad asciugare i piedi al vento, a definire i ruoli, a rimanere fuori dall’acqua torbida”.
I brani scorrono piacevolmente, non tutti hanno una struttura standard, alcuni neanche il ritornello, ma poco importa, sono poesia, un fluire morbido di immagini, suoni e parole, come “Sai mantenere un segreto?” o in “Ester”, un brano pieno di dolcezza (“verrò con te per poterti riconoscere, poi convincerò un milione di gabbiani per capire quanto mi ami”) o “Spavaldo”, una bellissima ballata soave e dal ritornello che conquista: “come me lo dirai ora? con le mani dentro al petto, le mani dentro al petto”. L’ascolto termina con “Tutte quelle cose che non ho fatto in tempo a dirti”, un brano malinconico, essenziale nell’arrangiamento, che parla di una storia d’amore finita “vittime di una follia che abitava abusiva in un appartamento nella mente mia”.
“Senza eredità” è un disco avvolgente e delicato, profondo ed emozionante, capace di donarsi a chi ascolta in modo semplice e naturale.
Roberta Usardi
Fotografia di Avida Dollars @nsfilmphoto
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