Venti volte Giorgio Canali – La recensione
Lo sapevo che questo duemilaventi non poteva essere così male e infatti qualche settimana fa leggo la notizia del nuovo disco di Giorgio Canali, un doppio disco che richiama quest’anno assurdo, infinito, pieno di montagne russe e lungo come solo certi dischi doppi possono esserlo. E allora perché “morire d’amore che quando poi resusciti ti chiedi chi te l’ha fatto fare, che ci sono altri mille modi per farsi male”. Possiamo parlare di questo periodo evitando parole inutili, frasi di circostanza e restare lucidi, colpendo diritti al cuore come solo certe voci possono, o meglio ancora, vogliono fare, perché la differenza, qualche volta, sta tutta lì. Volere.
Il titolo del disco, “Venti” è un manifesto artistico, del resto quest’anno abbiamo vissuto un cambiamento epocale e i grandi movimenti artistici in qualche modo sconosciuto ai più ne risentono sempre , si alimentano del presente che ci circonda, che ci prende all’improvviso e vomitano fuori quello che hanno da dire, quello che non riusciamo a dire incatenati ai nostri lavoretti quotidiani, “inutili e irrilevanti”. Cambiamenti epocali, come le guerre del passato, grandi movimenti artistici come il DADA capace in pochi anni di influenzarci ancora oggi. Cambiamenti come una pandemia, grandi album come il disco di Giorgio Canali.
“Venti”, il titolo di questo doppio. Venti come questi “anni di merda”, per citare sempre lui direttamente dal suo disco precedente. “Venti” come le canzoni che compongono il disco, degli affreschi attuali della situazione generale che stiamo subendo da troppo tempo ormai. Venti come il vento di cambiamento che non c’è o che non sembra arrivare, “troppa gente, troppo vento, chi è fuori è fuori e chi è dentro è dentro, il vento almeno porta via gli odori”. Ma gli artisti non vogliono buttare fuori quello che pensano veramente, forse è solo una mia pia illusione e la maggior parte non riesce a guardare al di la del proprio orticello personale. Per fortuna c’è Giorgio Canali, incazzato, deluso a tratti disilluso ma solo a una prima occhiata veloce, fugace, come parole buttate a raffica in alcuni suoi pezzi che corrono all’impazzata come certi treni per Yuma, circondati da persone che non contano più niente.
Questo disco non poteva non nascere che in questo modo e in questo mondo qua. Siamo divisi in mille zone colorate, mentre scrivo adesso la mia città è diventata zona arancione, in una giornata di diluvio universale, ironia della sorte, ma io non voglio essere altro colore che Rossofuoco come il gruppo che suona magnificamente in queste venti tracce. Riff di chitarre e batteria come se non ci fosse un domani, violini sparsi e note di pianoforte e darci respiro, un’armonica a bocca a ricordarci da dove veniamo. E citazioni e rimandi al mondo musicale nostrano, spunti dal passato per parlare di un presente che ci fa incazzare, perché non riusciamo a guardare al di la del nostro naso, mai come oggi coperto da mascherine usa e getta, il problema di domani, ammesso che ce lo fanno vivere questo domani. “Se non ci abbattono prima o se un qualsiasi asteroide figlio della merda non si schianta sulla luna”.
Le canzoni sono nate durante la prima quarantena, venti più venti, come quest’anno, come le tracce, come il doppio, a Giorgio Canali piace giocare con i numeri. Come in “Dodici”, traccia numero dodici e seguito ideale di “Undici”, il disco precedente.
È stato composto mentre c’erano persone affacciate ai balconi a cantare e struggersi, e struggerci sopratutto con canzoni che oggi a sentirle inizi a pensare che portano male, mentre eravamo intenti a colorare cartelli con le scritte più assurde, tipo andrà tutto bene, mentre artisti e musicisti provavano a farci sentire meno soli con dirette e live in streaming, Canali era li che leggeva questi tempi strani, scriveva canzoni, accordava chitarre e suonava a distanza con il suo gruppo e una connessione a internet. Pezzi nati in smart working come certi lavori nei call center, come certe didattiche a distanza. Ecco perché questo disco porta con sé questa urgenza espressiva, la voglia di dire la tua, che poi qualche volta scopri che è anche la sua, quella di Giorgio Canali. Sono giorni che questo disco mi gira nella testa, è un disco che fa anche sorridere, perché l’ironia è un’arma importante e fa incazzare , ci fa indignare, che grande parola. Come sarebbe bello se tutti potessimo usarla a giusta ragione un po di più. E si fa cantare, viene voglia di urlare come ho fatto io in giro per la città, in maniera clandestina con il mio cane, e ballare saltando di qua e di là. Così che quando incontri un passante per strada che ti guarda scandalizzato perché ormai è questo che ci scandalizza, non tutte le false verità che ci propinano, puoi guardarlo negli occhi e dirgli amico mio non servi più “ora che ti abbiamo dato un nemico più grande”.
E adesso basta.
“È ora di andare, dai, basta pensare
Partire, ruzzolare via
Si è dato già troppo tempo al tempo
E via, come un rotolacampo
È ora di spargere in giro un po’ di semi di follia”
Antonio Conte
Fotografia di Roberta Capaldi
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