“Più lontano di così” – L’abisso di Lucrezia Lerro
“Ti liberasti della vita, e non per tua scelta, gli spari echeggiarono in modo familiare. La luce del giorno ti esplose sulle labbra”.
Roma, 4 dicembre 1951. Un caporale del 13° Reggimento di Artiglieria veniva ucciso in piazza dell’Indipendenza da una donna, con cinque colpi di pistola. Era Luigi Linzio, ucciso dalla moglie di suo zio. Comincia da qui il dolore costante e disperato di una famiglia, costretta dalla vita prima alla miseria e alla povertà, poi all’assenza di un figlio. Cominciano quindi “follia, pianto, irragionevolezza, inquietudine”, a rendere la vita di chi rimane un inferno.
Nel 2013, ritorna nei fatti – a piedi scalzi e con quella miopia ereditata, che offusca la realtà e senza saperlo la migliora – Leda, la nipote di Luigi, per raccontarceli questi fatti, per raccontarci dei genitori di Luigi Linzio, i suoi nonni, e sedimentare anche la nostra anima con la loro disperazione, quella di non essere riusciti a portare in salvo quel figlio. Leda li racconta allo stesso zio Luigi, quei fatti, srotolando quella che sembra una lunga lettera, una confessione, un flusso di pensieri che si mescolano con la realtà, portando a galla quel male dentro difficile da sconfiggere. E comincia il viaggio: dal sud a Firenze, poi Milano e, infine, Roma che restituirà fotografie, documenti e diari, percorrendo le strade da piazza dell’Indipendenza a Via Veneto, fino al carcere di Rebibbia.
Luigi era ferito, ma da chi e da cosa? Cosa mantiene in bilico Leda tra quel passato a lei così poco conosciuto e il suo presente fatto di paure, insicurezze e incomprensioni? Cosa la spinge verso questa insaziabile ricerca della verità, verso il racconto di quella strana morte? E tu, “uccideresti un ragazzo di diciannove anni perché ti ama?” Due esistenze lontane e diverse, quelle di Luigi e di Leda, quasi sconosciute, ma legate dalla vita, dal sangue e da un percorso comune. Due esistenze legate da una strada: unica fuga per la salvezza.
“Tu moristi per amore o per cosa?”
Lucrezia Lerro, con una scrittura intensa e coinvolgente, in “Più lontano di così” (La Nave di Teseo, pp. 208, euro 17) riporta a noi una storia reale, una vita. Lo fa in modo incessante, devastandoci con i pensieri della protagonista, che tagliano e lacerano per poi rimarginare, subito dopo, quella ferita che necessita di sanguinare, perché vuol continuare a esistere e a riportare indietro, ancora una volta, l’assenza. Un libro che ci precipita dolorosamente in un abisso, da cui risaliremo sì, ma con difficoltà e non senza quelle cicatrici che man mano diventeranno sempre più riconoscibili, anche ai nostri occhi.
Marianna Zito