“NOTTE” DI EDGAR HILSENRATH – LA FOLLIA DELL’OLOCAUSTO
Meno male che, nell’immane disordine della cultura italiana, qualche volta c’è un ritorno di un’opera letteraria a ricordarci che cultura è altro dal sentimentalismo a buon mercato di pseudo scrittori della domenica. Edgar Hilsenrath con “Notte” (Edizioni Voland, pp. 573- euro 20) è quell’ altro, quella letteratura che soccorre e fa ancora sperare.
Notte è uno dei romanzi più belli e crudeli della letteratura dell’Olocausto. E’ notte perenne sul ghetto di Prokov, città ucraina occupata dalle truppe romene, alleate con i nazisti, è un inferno di macerie e di fame dove su cinquantamila ne moriranno quarantamila. E in quest’inferno Ranek, il protagonista combatte per sopravvivere, giorno dopo giorno, patendo il gelo, la scurrilità di chi ha smarrito il senso dell’umano dove la mente non ha più suggerimenti da dare, dove si combatte a pugni e morsi per conquistare un goccio di latte, un lembo di coperta, si lotta per la sola sopravvivenza del corpo, oramai larva, senza alcuna speranza, alcun sogno, alcun domani.
È una notte di un nero profondo e senza stelle, la notte di Prokov, una notte raccontata con parole crude e amare, con una sintassi essenziale che diventa rivolta, urlo disperato e incessante. Così il narrare è come una lente grandangolare che abbraccia l’insieme, scruta ogni prospettiva, descrive ogni ingiuria alla vita, diventa affresco crudele e grottesco, vola oltre il foglio, buca la pagina, denuncia e disturba, creando così tante difficoltà da venire più volte rifiutato per la pubblicazione. “Notte”, a ragione, è unanimemente considerato un capolavoro della letteratura, è un’opera da leggere e da rileggere e, se le parole sono così amare da addolorarci, se il buio della ragione è così profondo da disorientarci, se il dolore che traspare è così forte da ferirci, pensiamo per un attimo, un attimo soltanto prima di affondare nel nostro tranquillo quotidiano, che non è letteraria finzione ma, purtroppo, realtà cruda, inspiegabile e assurda, una reale inconcepibile follia.
Francesco de Masi