Mike Orange: in arrivo la fiducia e l’armonia interiore nell’EP “Arancio” – L’intervista
Lo scorso 29 gennaio è uscito per MPC Records “Segrate”, il nuovo singolo di Mike Orange, all’anagrafe Michele Arancio, cantautore lombardo già finalista a Sanremo Rock 2020 e al Festival di San Nolo 2019 con il brano “Parigi, Berlino ritorno”. “Segrate” anticipa la pubblicazione dell’EP “Arancio” il prossimo 19 febbraio.
“Segrate” è il tuo nuovo singolo, in cui canti, nel ritornello: “nonostante combattiamo questo mondo, noi siamo dentro come tutti gli altri”, a cosa ti riferisci?
Prima di iniziare permettetemi di salutare voi di Modulazioni Temporali. Grazie per questo spazio! Mi riferisco alla sensazione di impotenza che si prova a volte quando ci si accorge di essere in balia di un flusso di azioni fuori dal nostro controllo. Dalle cose più piccole, come il traffico che ti fa iniziare la giornata con il piede sbagliato, a questioni più gravi, per dirne una, una pandemia mondiale. A volte ci si sente obbligati a fare delle scelte in cui non ci si riconosce, ma che sono necessarie. Parto da me, da adolescente ho sempre criticato il consumismo sfrenato, da adulto mi trovo dentro queste logiche e nemmeno mi accorgo.
Da quale ispirazione è nata “Segrate”?
Segrate è nata da un’immagine, che è quella che vedo tutti i giorni per andare al lavoro. Lavori in corso, cave di prestito, palazzoni sempre più alti e sempre più vuoti. La realtà dell’hinterland di Milano è quella di una provincia dormitorio, dove al panorama corrisponde anche un modo di essere. Siamo sempre più abituati a dover rimodulare le nostre vite in funzione della situazione e non in base ai nostri desideri.
Il tuo EP di prossima uscita si chiama “Arancio”, come il tuo cognome, ha un concept autobiografico? Quanti brani conterrà?
Certamente, ci ho lasciato dentro un pezzo di me. E poi l’arancione è il colore simbolo di armonia interiore, creatività e fiducia in se stessi e negli altri. Sono valori in cui mi riconosco molto. “Arancio” è un EP di 5 tracce, che racchiude una parte del lavoro degli ultimi due anni.
Farai uscire un altro singolo dall’EP?
Sarebbe interessante, credo che ci sia più di un pezzo all’interno di “Arancio” che possa stare i piedi da solo. Alcuni brani sono stralci di vita e veri e propri microcosmi. Abbiamo qualche idea per fare uscire un altro video prima dell’estate, ma potrebbe essere che avremo già le energie per pensare a qualcosa di nuovo.
“Parigi, Berlino ritorno” è il brano che ti ha portato alla finale del Festival di San Nolo, che nel testo rivela la voglia di andare via, spinto dai desideri dei versi “sarebbe bello se”. Oggi cosa “sarebbe bello” per te?
Direi che in questo momento sarebbe bello se tornassero i concerti. Mi manca molto questo aspetto della mia vita che è sempre stato presente. È la dimensione in cui ascolto nuovi artisti, l’occasione per vedere tanti amici e frequentare posti che mi piacciono.
Sei ancora parte del power Trio “SOCS”, ci saranno novità anche con loro?
Certo che sì, prima di essere una band siamo grandi amici. Sono la mia relazione più lunga! Abbiamo provato finché abbiamo potuto in sala prove, ma la situazione attuale non permette neanche di vedersi. Ci sentiamo spesso e devo dire che i ragazzi, oltre che essere sempre onesti sui miei progetti paralleli, mi stanno facendo anche molto coraggio. Ci piacerebbe registrare un EP, qualche cosa è già pronta ma i SOCS sono una band che da il meglio nei live, attenderemo tempi migliori.
Cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera di solista e con un genere più tranquillo?
Era da tanto che ci pensavo, ero in un momento in cui mi sentivo un po’ vuoto e avevo bisogno di nuovi stimoli. Avevo voglia di tornare a scrivere qualcosa in italiano, per cui ho recuperato un vecchio computer, una scheda audio da 30 euro, un buon microfono e ho iniziato. Solo per registrarmi a casa. A un certo punto mi sono accorto che avevo scritto una decina di canzoni. Lì ho capito che avevo qualcosa da dire. Confrontarmi con il cantautorato italiano, genere che ho sempre apprezzato, è venuto naturale mentre cercavo le parole per spiegarmi. Mi piace la piega che ha preso ultimamente l’indie italiano, in cui ho trovato lo spazio per aprirmi alle mie fragilità e ho provato a lasciarmi andare senza cercare di scimmiottare.
A metà gennaio è uscito anche il brano “#15agosto” per la compilation del collettivo artistico Bergamo Underground, sarà presente anche nell’EP?
Per fortuna no! Voglio dire, è un pezzo che ho realizzato perché mi è stato chiesto da Mario Turco, un amico cantautore che a febbraio dell’anno scorso ha creato una pagina Instagram che si chiama “artisti uniti per la zona rossa”. Mi ha chiesto se volevo essere coinvolto, ho accettato ed è nato il pezzo. Poi l’ho messo a disposizione della compilation di Bergamo Underground che ha raccolto fondi per il Papa Giovanni XXIII, l’ospedale di Bergamo. Ho scelto di pubblicarlo a cavallo tra fine 2020 e inizio 2021 perché ero stanco di sentirlo, è troppo legato al tempo che stiamo vivendo. E siccome spero che finisca al più presto ho deciso di pubblicarlo come singolo. Mi piacerebbe guardare avanti, e questo è il mio personalissimo segnale per farlo.
Hai radici nel punk rock, quali sono gli artisti che ti hanno portato verso questo genere musicale?
A 13 anni ho ascoltato “Americana” degli Offspring perché un mio grande amico dell’epoca aveva la cassetta. E da lì mi sono incuriosito, ho cominciato con i classici Sex Pistols. Nel tempo mi sono molto appassionato al punk rock americano anni ‘80 (gli Adolescents su tutti, con cui ho anche suonato due volte. Una delle esperienze più belle della vita). Devo dire che anche nel punk rock, mentre tutti ascoltavano Rancid, NOFX e Green Day e i vari gruppi punk italiani io mi ascoltavo i gruppi da loser. Sempre fatto! Su Spotify pubblico ogni mese la playlist Misto Arancio, una spremuta (scusate, concedetemelo) dei miei pezzi di background, nuove scoperte, ricerche e studio che faccio per i miei dischi, vecchi amori . Questo mese, ad esempio, si ascolta punk. Se volete trovare qualche chicca, vi invito a darle un occhio.
Roberta Usardi
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