“L’isola che non c’era” – Le terre emerse di Leonardo Bonetti
“L’isola che non c’era” (Il ramo e la foglia edizioni, 2021, pp 156, euro 15), titolo che inevitabilmente trasporta la nostra mente in nuove terre, è un romanzo di Leonardo Bonetti. Il giovane Leo, osservatore e avventuriero, si identifica come il classico personaggio senza un passato, incastrato in un presente fatto di automatismi e con scarse aspettative per il futuro.
Una nuova realtà si presenta a Leo con la possibilità di approdare su un’isola, un’isola che non c’era, una terra emersa dalle acque e in grado di offrire una nuova possibilità agli uomini. Ma quale possibilità? Magari l’idea di una nuova rivoluzione? Magari una terra promessa, quella terra che è semplicemente rifugio e dove poter ricominciare dimentichi di sé. L’idea di poter ripartire lontano da tutto e da tutti, con nuove regole in una nuova società, affascina profondamente Leo. All’approdo su queste coste tutto sembra magnifico, acque cristalline, sabbia bianchissima esattamente come i denti di Aldina, la giovane ninfa che illumina il panorama. È così che ci viene presentata una nuova realtà dove non vi è dolore, dove la sofferenza non è permessa agli uomini; un posto dove, chi vive davvero è l’isola. In un turbine di incontri e di edifici ambigui, che disorientano in una terra dove gli esseri umani non parlano la stessa lingua, il desiderio più grande resta sempre lo stesso: essere ascoltati, compresi.
Per mezzo di una lingua elegante e allo stesso tempo fluida e avvolgente, l’autore ci trasporta in tunnel sempre più buio, senza punti di luce o apparenti vie d’uscita. L’isola, emersa dal mare e riportata alla luce ormai da nove anni sembra nascondere qualcosa di arcano, qualcosa che l’uomo non potrà mai afferrare fino in fondo.
Se una rivoluzione è possibile, chi è davvero in grado di guidarla?
In verità quando vengo quaggiù provo una noia mortale. Non riesco nemmeno a pensare… se non all’infinita sterilità di ogni pensiero. Queste farfalle sono morte e sepolte. E così l’avorio. Ora che ci penso questo pozzo è una metafora, ecco tutto. Metafora di una fuga, intendiamoci. Come ogni rivoluzione. La nostra, del resto, se ne sta confinata quaggiù, in quest’aria stagnante.
Massimiliano Pietroforte
Ringrazio la redazione di Modulazioni temporali per lo spazio dedicatoci, in particolare Massimiliano Pietroforte che firma la pagina.