“Le vie di mezzo – Esercizi di immobilità”: dieci nuovi racconti di Federico Riccardo, lo stato di coscienza di ciò che si muove – L’intervista
Nel mondo dell’arte un buon inizio è importante, ma ancora di più è continuare su quel buon inizio. Una volta che il ghiaccio è rotto, bisogna saperlo usare bene. È quello che sta facendo Federico Riccardo, scrittore (e non solo!) con il suo secondo libro che uscirà prossimamente, di cui è ancora attiva la campagna crowdfunding. Si intitola “Le vie di mezzo – Esercizi di immobilità” e comprende dieci racconti, connessi al tema del titolo, con la prefazione di Livia Castiglioni, drammaturga, scrittrice, attrice. Abbiamo fatto qualche domanda a Federico per poter avere qualche anticipazione, soprattutto dopo aver apprezzato il suo primo libro di racconti “Il tempo è un binario di un tram” (Bookabook, 2020, pp. 136, euro 11).
Partiamo dal titolo, che ha due suggestioni interessanti: il concetto di “vie di mezzo” e “gli esercizi di immobilità”: come si collegano tra loro, l’immobilità è una via di mezzo?
Come sempre, mi sento impacciato quando devo spiegare i titoli delle cose che scrivo. Ho voluto analizzare l’immobilità nelle sue diverse forme: da quella fisica percepita da una ragazza che non riesce a dire addio al suo “amore tossico”, all’immobilità provocata da una malattia come l’Alzheimer, passando dall’immobilità da lockdown che un po’ tutti, in maniera diretta o indiretta, abbiamo vissuto. Tante immobilità diverse, che non coincidono proprio con un “fermarsi”. C’è sempre un movimento, dentro e attorno. E quindi c’è sempre possibilità di racconto, anche se non la percepiamo. Per questo si parla di “via di mezzo”: è una sorta di compromesso tra lo stare fermi e il non esserlo. È un messaggio ottimista questo: anche se sembriamo fermi, non lo siamo.
A cosa associ, come immagine o concetto, il termine “immobilità”?
A mia nonna, cui ho voluto ispirarmi in un racconto di questo libro, che si intitola Mia madre. Interno, giorno. Ha sofferto di Alzheimer e gli ultimi dieci anni della sua vita li ha trascorsi in clinica su una sedia, balbettando, pronunciando frasi incomprensibili, ridendo e fissando il vuoto. Se penso all’immobilità mi viene in mente lei. In apparenza ferma, ma con dentro ancora un fuoco che la faceva esprimere, a suo modo. Questo è un po’ il senso del mio libro: l’immobilità talvolta può dire più cose del movimento.
A cosa servono gli esercizi di immobilità? Esiste una via di uscita?
Dal momento che l’immobilità è racconto, mi auguro non esista una via di uscita, altrimenti non potrei più raccontare.
Le “vie di mezzo” cosa collegano?
Domanda interessante. Forse non collegano nulla. Sono semplicemente uno stato di coscienza. Quindi racconto.
Il tuo primo libro di racconti, “Il tempo è il binario di un tram” è uscito ad agosto 2020 e a meno di un anno di distanza sta per uscire anche il tuo secondo libro. In quanto tempo hai scritto i dieci racconti di “Le vie di mezzo”, pensando anche alla gestazione del precedente? Sono stati tutti composti ex novo o ne avevi già scritti alcuni in precedenza?
Durante il lockdown di marzo-aprile 2020 ho scritto un racconto, “Il caldo” e l’ho regalato a Silvia Giulia Mendola che lo ha interpretato in modo magistrale. Lo si può trovare su YouTube e Spreaker. Parla di un signore anziano che, non vedendo più uscire sul balcone la sua amata, decide di aspettarla fuori dalla porta di casa e non muoversi più da lì. Immobile, non a caso. Da lì ho pensato di raccontare diverse situazioni di immobilità e una volta terminate di presentarle alla casa editrice Bookabook nel tentativo di continuare la riflessione sul tempo che avevo intrapreso con “Il tempo è il binario di un tram”. Ho completato il tutto a inizio dicembre. Nel mentre c’è anche stato un soggiorno a Mandello del Lario, luogo meraviglioso sul luogo di Como dove ho deciso di trasferirmi quando voglio scrivere in silenzio. Lì ho scritto un paio di racconti che fanno parte di questa raccolta.
Quanto c’è di autobiografico nei tuoi racconti?
Tantissimo. E anche quando non si fa riferimento diretto a una mia esperienza personale, attingo da qualcuno che conosco o non conosco ma ho appena visto per strada. Quando riguarda me parto da un semplice episodio, forse anche insignificante per molti ma rilevante e decisivo. Molto spesso attingo anche dalle vite che avrei voluto vivere. C’è tanto di me anche lì dentro. Forse è sempre autobiografica la mia scrittura, anche quando parlo degli altri.
Come descriveresti la copertina del libro?
Quella che si trova sul sito di Bookabook a corredo del mio libro (due toni di grigio contrapposti che si toccano) è ancora una piccola bozza di quello che potrà essere la copertina: il grigio è per antonomasia la via di mezzo, il compromesso tra bianco e nero. Anzi, quasi quasi potrebbe già essere questa la copertina ufficiale.
“Il tempo è il binario di un tram” ha in comune con questo imminente nuovo lavoro, oltre alla formula dei racconti, il riferimento al tempo: da una parte quello che scorre, dall’altro l’immobilità: com’è il tuo rapporto con il tempo?
Molto incostante. Non ho una vera percezione del tempo. Sicuramente non so gestirlo, ma ho scoperto che è una mia peculiarità, non un difetto. Non riesco a ottimizzare, non riesco a dirmi “ho mezz’ora di tempo, quindi posso fare questa cosa qua e portarmi avanti”. Vado spesso a sentimento, affronto quello che viene.
In questo nuovo libro hai scoperto qualcosa di nuovo su di te?
Mi sono reso conto che scrivere racconti mi piace davvero. E che la forma del racconto è seguitissima, c’è una vera e propria tifoseria. Dopo aver scritto “Il tempo è il binario di un tram” molte persone sono venute da me a dirmi “Va bene, però adesso scriviamo un romanzo…” come se scrivere dei racconti valesse meno o fosse solo un esercizio di stile. Ci ho riflettuto molto, ho buttato giù alcune idee e tutto mi riportava a scrivere nuovamente dei racconti. È una zona di comfort? Può darsi. Ma a differenza di anni fa, in cui questo termine, “zona di comfort” mi disturbava, oggi mi dà tanta pace. Ecco cosa ho scoperto, grazie a questo libro. Che stare comodi, se lo si fa per se stessi, non è un delitto.
“Il tempo è il binario di un tram” è diventato anche un reading teatrale, anche per “Le vie di mezzo” c’è questa idea?
Quella che abbiamo portato al Teatro Verdi lo scorso settembre è un’esperienza straordinaria, con 3 mostri sacri (Silvia Giulia Mendola, Pasquale di Filippo e Mimosa Campironi) e mi piacerebbe continuare a portarla in giro, quando si potrà.
Sinceramente non sto pensando a una versione teatrale de “Le vie di mezzo”. Avrei però tanta voglia di fare qualcosa di diverso. Da Gennaio ha preso piede su Spreaker e Spotify un mio progetto, “I racconti di Federico Riccardo”, interpretati da attori professionisti. Un appuntamento al mese. Qualche racconto è preso da questo nuovo libro.
Come ti sei avvicinato alla scrittura?
Innamorandomi, come accade un po’ a tutti. Ho scritto le mie prime poesie a 15-16 anni. Poi ho smesso di innamorarmi e ho smesso di scrivere. Oggi sono innamoratissimo e ho scritto due libri. Scrivo perché sono innamorato e non la ritengo una banalità, tutt’altro.
Dopo questo secondo libro di racconti, hai già in mente il prossimo passo?
Sì, ho in mente diverse storie che mi piacerebbe raccontare. Ho un romanzo in cantiere. È ambientato in campagna e i protagonisti sono due bambini. Ma c’è bisogno di tatto, di sensibilità, di attenzione e di silenzio per portarlo avanti. Al momento avrò scritto una trentina di pagine. Mi sono momentaneamente interrotto, perché il crowdfunding di “Le vie di mezzo” ha bisogno di tanto impegno. Ma tornerò sicuramente a riprendere questo lavoro.
Roberta Usardi