La “volontà di potenza” del corpo secondo il collettivo EFFE
“Ora l’essenza della natura deve esprimersi simbolicamente; è necessario un nuovo mondo di simboli, e anzitutto l’intero simbolismo del corpo, non soltanto il simbolismo della bocca, del volto, della parola, ma anche la totale mimica della danza, che muove ritmicamente tutte le membra.” Scriveva così Nietzsche in uno dei suoi capolavori: “La Nascita della Tragedia”. Nel pensiero del filosofo il primato del corpo, come fonte di ogni interpretazione, risulta un tema ricorrente. L’idea di un corpo vissuto, piuttosto che un corpo oggetto di conoscenze scientifiche, la volontà di potenza che esso racchiude, come legge intima, sembra emergere anche nel lavoro: “Il mio corpo è come un monte”, firmato dal Collettivo EFFE e che ha debuttato negli spazi del Mattatoio, all’interno della stagione programmata dal Romaeuropa Festival, il 19 e il 20 ottobre.
Una dichiarazione d’intenti chiara, quella che sancisce l’inizio di questo viaggio corporeo e sensoriale: “Il mio è un desiderio semplice: “Voglio essere una montagna/ Non come una montagna,/ una montagna./Io voglio essere una montagna”. Un desiderio che la ragione non può concepire, che pretende quasi una rivalutazione dell’esistenza, in vista di un futuro stato dell’umano, una tensione ad andare oltre. L’uso di diversi materiali visivi e sonori, la loro giustapposizione, invitano il pubblico a plasmare nella propria testa questa metamorfosi del corpo, dalle atmosfere trasognate, abbandonando la logica e spalancando le porte all’immaginazione. Pelle, membra, ossa della performer (Lidia Luciani) si assumono l’arduo compito di rendere visibili forze invisibile, evocando attraverso continui cambi di mimesi, ora l’aspetto più aspro delle rocce, ora quello più piano di calanchi, fino a raggiungere le vette di una montagna. Il lavoro dell’operatore video e la camera in presa diretta (Daniele Giacometti) indagano come in un’autopsia del reale, i dettagli fisici, isolandoli dal loro contesto con grandissimi primi piani, per crearne uno nuovo. Questo modo di procedere ricorda il concetto della “Figura” in Bacon, l’azione dei parallelepipedi o degli ovali che isolano la Figura nel quadro, fanno sì che nessuna storia si insinui nell’insieme illustrato, ponendo al centro una concezione tutta nuova dello statuto sensibile del vedere. Durante la performance, disarticolazioni, contrazioni sono oggetto di una doppia indagine emotiva e fisica che genera fratture, frane, amplificate da un’ambientazione sonora (Giulia Odetto), principalmente composta da suoni elaborati in diretta che, a loro volta, puntano l’attenzione su un corpo presente a se stesso come sensibilità e percezione, mosso dall’urgenza non tanto di inventare o riprodurre delle forme, quanto piuttosto di captare forze.
Una sfida quella lanciata dal team artistico che attraverso l’inclusione dei diversi linguaggi performativi con i nuovi media, cerca di vagliare sul campo, all’insegna di una costante sperimentazione, elementi tecnici che agiscano come estensioni, protesi mediali del corpo umano. Cos’è, dunque, ciò che chiamiamo corpo? Sono possibili diverse interpretazioni, ma la questione centrata dal Collettivo EFFE è che indubbiamente una pluralità di esseri governa il nostro organismo, in un gioco flessibile di pezzi che si modellano e si confrontano continuamente, a volte anche in modo feroce, secondo pulsioni e desideri sotterranei, viscerali.
Diana Morea
ph. Piero Tauro